IA AI azienda

Intelligenza artificiale in azienda: da dove partire per usarla davvero

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di Intelligenza artificiale (IA o AI in inglese) e delle sue numerose applicazioni nei contesti professionali. Tuttavia, le domande che si pongono molti imprenditori sono le seguenti: come può aiutarmi l’Intelligenza artificiale nella gestione quotidiana della mia impresa? Quale supporto può darmi nella pianificazione del futuro aziendale?

La riposta non è semplice: ogni giorno nascono applicativi basati sull’IA che vengono proposti in modo sempre più diffuso e con promesse spesso entusiasmanti. Si tratta di un mercato in rapida espansione, nel quale in tanti si stanno lanciando (o buttando) come se si trattasse di un nuovo “Eldorado”. In parte lo è, perché l’IA rappresenta una piccola rivoluzione tecnologica, paragonabile a quella introdotta dal personal computer o dallo smartphone.

L’IA: una tecnologia matura, non una novità

Contrariamente a quanto si tende a credere, l’Intelligenza artificiale non è una scoperta recente: gli studi su algoritmi generativi risalgono a qualche decennio fa ed ora, siamo entrati nella fase della prima maturità e dell’accesso alle sue funzionalità da parte del grande pubblico.

Un fenomeno analogo avvenne per i computer: nati negli anni 20 del secolo scorso, divennero strumenti realmente accessibili solo a partire dagli anni 80.

Le applicazioni aziendali dell’Intelligenza artificiale

Nei prossimi articoli analizzeremo le principali applicazioni pratiche dell’IA in azienda, con particolare attenzione agli strumenti che possono realmente migliorare l’efficienza gestionale.

In questo primo approfondimento, in particolare, ci concentreremo sulle applicazioni dell’IA in campo contabile, ovvero sulla capacità dell’IA di aiutare gli impiegati amministrativi nell’eseguire le operazioni di routine.

Automazione delle operazioni contabili

Esistono numerosi applicativi spesso collegati ai gestionali aziendali che vengono utilizzati per automatizzare le operazioni di routine. Grazie alla progressiva standardizzazione dei documenti contabili – a partire dalla fattura elettronica che ha un tracciato standard e quindi facilmente leggibile da un programma -, è possibile sviluppare sistemi capaci di leggere, interpretare e registrare i documenti in modo automatico.

Tra le applicazioni più interessanti vi sono i sistemi capaci di registrare automaticamente le fatture e di predire i conti di imputazione (scegliendo dal piano dei conti aziendale), riducendo così drasticamente i tempi di lavorazione e gli errori umani.

Grazie a modelli di machine learning, questi sistemi analizzano il contenuto delle fatture elettroniche — descrizioni, codici IVA, importi, fornitori — e sono in grado di proporre in tempo reale la corretta registrazione contabile. Con l’uso continuo, l’algoritmo impara dalle scelte dell’operatore e diventa sempre più preciso, fino ad automatizzare la maggior parte delle operazioni ripetitive.

L’impatto è duplice: da un lato si velocizza il lavoro amministrativo, liberando risorse preziose; dall’altro si ottengono dati più accurati e aggiornati, che migliorano l’analisi gestionale e la pianificazione finanziaria.

Riconciliazione automatica delle movimentazioni bancarie

Un’altra applicazione dell’Intelligenza artificiale in ambito contabile riguarda la registrazione automatica delle movimentazioni bancarie.

Grazie all’integrazione tra i gestionali aziendali e gli estratti conto digitali o i sistemi di home banking, gli algoritmi di IA sono in grado di leggere e interpretare in modo intelligente le operazioni bancarie — bonifici, incassi, pagamenti, addebiti, carte di credito — e di associare automaticamente ciascun movimento al relativo conto contabile o cliente/fornitore.

Il sistema, anche in questo caso, apprende progressivamente dalle scelte effettuate dagli operatori, riconoscendo pattern ricorrenti come il mittente, la causale o l’importo. Dopo un breve periodo di “training”, è in grado di proporre registrazioni con un grado di precisione molto elevato.

L’uso dell’Intelligenza artificiale per la riconciliazione bancaria automatica consente quindi di trasformare un processo molto oneroso e ripetitivo in semplici operazioni di controllo della quadratura (riconciliazione) a fine mese o eventualmente in poche registrazioni dei movimenti che il sistema non riesce ad acquisire.

Nel prossimo articolo parleremo di come utilizzare l’IA come una “segretaria virtuale” veloce ed efficiente.

A cura di Egidio Veronesi


intelligenza artificiale IA

L’utilizzo dell’Intelligenza artificiale nella redazione dei contratti aziendali

Per concludere la trattazione dei contratti aziendali, oggi affrontiamo un aspetto di crescente attualità:

l’utilizzo sempre più massiccio (e talvolta invasivo) dell’Intelligenza artificiale per la redazione di accordi e contratti.

A partire dalla prossima settimana, approfondiremo poi il tema dell’Intelligenza artificiale (la cosiddetta IA in italiano o AI in inglese) e vedremo come può essere utilizzata per migliorare la gestione della propria impresa. Non si tratterà di un’analisi tecnica, ma di una serie di spunti pratici dai quali ciascun imprenditore potrà avviare un proprio percorso di approfondimento e sviluppo.

L’Intelligenza artificiale: risorsa o pericolo?

Tornando al tema odierno, oggigiorno si ricorre sempre più spesso a strumenti disponibili gratuitamente come ChatGPT, Gemini e altri per ottenere bozze contrattuali in tempi rapidissimi. Ma funzionano davvero bene questi strumenti?

Analizziamone in breve sintesi i pregi, i difetti e i rischi.

I vantaggi dell’IA nella redazione dei contratti

L’uso dell’IA per predisporre accordi contrattuali presenta indubbi benefici come la velocità di redazione: anziché ricercare in rete modelli standard che appaiano adatti alle nostre esigente, è sufficiente inserire nello strumento di IA una richiesta specifica, ad esempio: “Vorrei un contratto tra la mia società e un cliente per un lavoro che devo eseguire su un cantiere e che consiste nella costruzione di un muro.”

Il sistema genera una prima bozza, che può poi essere modificata e integrata con i dati delle parti come nominativi, codici fiscali e partite IVA. In pochi istanti, il programma ci fornisce un contratto che, a prima vista, appare ben strutturato e redatto da un professionista.

Dal punto di vista giuridico, probabilmente il contratto avrà valore legale, poiché la legge richiede soltanto la presenza di alcuni elementi essenziali. Tali elementi sono indicati all’articolo 1325 del Codice civile: l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma quando è prevista dalla legge a pena di nullità (argomento trattato in due precedenti articoli che potete rileggere ai seguenti link:

Cosa deve contenere un contratto: gli elementi essenziali per la sua validità  

Forma del contratto: scritta o verbale? Facciamo chiarezza | M&W

In mancanza di uno di questi requisiti, interviene comunque il Codice civile con le proprie disposizioni e in difetto il giudice, qualora le parti si facciano causa.

I limiti dell’IA

Davvero possiamo ritenerci al sicuro affidandoci esclusivamente ad un testo generato dall’IA?

Nonostante i vantaggi, è bene ricordare che l’IA non “comprende” il diritto come un professionista legale. I sistemi generativi producono testi basati su una grande quantità dati, ma non possiedono una comprensione giuridica vera e propria. Questo può generare formulazioni ambigue, clausole incomplete o errori sottili ma potenzialmente gravi.

I cinque rischi da non sottovalutare

  1. Ambiguità legale e clausole inadeguate: un contratto deve essere preciso, coerente e inequivocabile. L’IA può generare testo “linguisticamente corretto” ma giuridicamente incerto. Una clausola mal formulata può causare interpretazioni controverse, contenziosi o addirittura l’invalidità dell’intero accordo.
  1. Non conformità alle normative: ogni contratto deve rispettare le leggi del paese (e spesso del settore) in cui viene applicato. L’IA, se non adeguatamente aggiornata o programmata per un contesto specifico, può ignorare obblighi normativi rilevanti, esponendo l’impresa a rischi legali o sanzioni.
  1. Mancanza di responsabilità: in assenza di supervisione umana qualificata, l’impresa può trovarsi in una situazione difficile da gestire, sia sul piano legale che reputazionale. Il software non risponde delle conseguenze derivanti dal contratto e le responsabilità ricadono interamente su chi sottoscrive il contratto.
  1. Rischi per la privacy e la sicurezza dei dati: molti strumenti IA funzionano su piattaforme cloud e richiedono l’inserimento di dati aziendali riservati. Senza le dovute precauzioni, questi dati possono essere conservati, analizzati o condivisi senza pieno controllo, con possibili violazioni del GDPR o di altre normative sulla protezione dei dati.
  1. Rischi di natura fiscale: difficilmente un programma di Intelligenza artificiale è in grado di valutare i risvolti fiscali di un contratto commerciale. La normativa fiscale è complessa, articolata e stratificata in decenni di modifiche, rimandi, interpretazioni, prassi e giurisprudenza. Anche un professionista può incontrare difficoltà; è quindi impensabile che un software garantisca affidabilità in questo ambito.

Clausole inderogabili e derogabili: un aspetto cruciale

Da considerare infine che alcune norme sono derogabili e altre inderogabili: un ulteriore limite dell’Intelligenza artificiale riguarda proprio la capacità di distinguerle.

Se una norma è inderogabile, qualsiasi clausola contraria è priva di valore. Se una norma è derogabile, le parti possono concordare diversamente da quanto stabilito dalla legge.

Dunque, come si capisce se una norma è derogabile o inderogabile? Leggendo il testo. Ad esempio, la legge stabilisce che la durata minima di un contratto di locazione commerciale è pari a sei anni, in questo caso la norma è inderogabile. Di conseguenza, qualsiasi clausola che preveda una durata inferiore, ad esempio 2 anni, viene automaticamente sostituita dalla durata legale ed è come se avessimo scritto 6 anni sul contratto. Se la legge, invece, stabilisse che la durata minima di un contratto di locazione commerciale sia pari a 6 anni, salvo diverso accordo delle parti, allora la norma sarebbe derogabile.

L’AI riconosce la differenza tra clausole derogabili e inderogabili solo se le viene posta una domanda molto precisa e ciò avviene a condizione che l’utente conosca molto bene la normativa di riferimento. Se, ad esempio, si chiede in modo generico di predisporre un contratto di locazione commerciale della durata di 2 anni, il sistema lo genererà senza sollevare alcuna obiezione, pur trattandosi di una clausola contraria alla legge. Si consideri, infatti, che l’art. 36 della Legge 392/1978 stabilisce una disciplina inderogabile in materia di contratti di locazione, prevedendo una durata minima di sei anni.  Tale legge è chiara e abbastanza conosciuta; tuttavia, molte disposizioni legislative non sono così lineari. Spesso risultano complesse, modificate nel tempo, integrate con rimandi a leggi speciali, collegate a norme di attuazione o decreti ministeriali o direttoriali.

A cura di Egidio Veronesi


caparra confirmatoria. caparra penitenziale

La Caparra nel contratto: confirmatoria o penitenziale?

Quando si sottoscrive un contratto – per l’acquisto di una casa, di un’automobile o per la fornitura di un servizio – è frequente che venga richiesto il versamento di una somma a titolo di caparra.

Tuttavia, non tutte le caparre hanno la stessa funzione: nel nostro ordinamento esistono la caparra confirmatoria e la caparra penitenziale, disciplinate rispettivamente dagli articoli 1385 e 1386 del Codice Civile.

Comprendere la differenza è importante per conoscere i propri diritti e doveri in caso di problemi.

La caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.)

La caparra confirmatoria è la forma più comune. Serve per garantire la serietà del contratto e per offrire una garanzia in caso di inadempimento.

Gli effetti pratici di tale caparra sono i seguenti:

  • Se il contratto viene regolarmente rispettato ed eseguito, la caparra si trasforma in un acconto sul prezzo pattuito.
  • Se la parte che ha versato la caparra è inadempiente ossia non rispetta gli impegni, l’altra può trattenere la somma ricevuta.
  • Se è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, la controparte ha diritto a chiedere la restituzione del doppio.

Inoltre, l’art. 1385 c.c. riconosce alla parte adempiente (cioè a chi ha mantenuto i propri impegni) una facoltà importante: può accontentarsi della caparra oppure può decidere di pretendere l’esecuzione del contratto (ad esempio, ottenere la consegna del bene o la prestazione pattuita) o di chiedere la risoluzione del contratto con risarcimento del danno.

La caparra penitenziale (art. 1386 c.c.)

In caso di caparra penitenziale, le parti stabiliscono fin dall’inizio che ciascuna di esse potrà recedere dal contratto pagando un prezzo prestabilito: la caparra stessa.

Gli effetti pratici di tale caparra sono i seguenti:

  • Chi recede perde la caparra versata.
  • Se recede la parte che ha ricevuto la caparra (ossia chi vende), deve restituire il doppio.

Qui non c’è un inadempimento colpevole, ma un vero e proprio diritto di recesso. La caparra penitenziale rappresenta quindi il “costo” per sciogliersi dal contratto.

Mancata indicazione nel contratto della tipologia di caparra

Se nel contratto viene semplicemente indicata la parola “caparra” senza precisare se sia “confirmatoria” o “penitenziale”, la legge stabilisce che, nel silenzio delle parti, la caparra deve essere intesa come confirmatoria.

Caparra confirmatoria: esempio pratico

Mario e Lucia firmano un contratto preliminare per la vendita di un appartamento. Mario (acquirente) versa a Lucia (venditrice) 10.000 euro a titolo di caparra confirmatoria. Di conseguenza:

  • Se Mario non rispetta il contratto, Lucia potrà trattenere i 10.000 euro.
  • Se invece è Lucia a non rispettare l’impegno, Mario potrà chiedere indietro 20.000 euro (il doppio della caparra) oppure potrà chiedere al giudice di ottenere la consegna dell’immobile (esecuzione del contratto).

Caparra penitenziale: esempio pratico

Se le parti hanno pattuito una caparra penitenziale:

  • Mario (acquirente) può decidere di rinunciare all’acquisto perdendo i 10.000 euro.
  • Lucia (venditrice) può decidere di recedere dal contratto restituendone il doppio, ossia 20.000 euro.

Caparre molto elevate e caparre multiple nello stesso contratto

Le parti sono libere di stabilire l’importo della caparra e persino di prevedere più versamenti in momenti diversi. Tuttavia, se la caparra versata è molto alta e sproporzionata rispetto al valore del contratto, potrebbe essere qualificata come anticipo o acconto sul prezzo, con le relative conseguenze:

  • Sotto il profilo civile, l’ acconto deve essere restituito se si esercita il recesso in presenza di caparra penitenziale.
  • Sotto il profilo fiscale, la caparra è considerata una garanzia e quindi non è tassata. Gli anticipi/acconti invece sì e sono soggetti a IVA.

Analogo discorso in caso di caparre multiple nello stesso contratto.

Conclusione

La distinzione tra caparra confirmatoria e penitenziale influisce sia sui diritti delle parti, sia sugli aspetti fiscali.

In caso di caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.), la parte adempiente può trattenere la caparra, chiederne il doppio o pretendere l’esecuzione del contratto.
In caso di caparra penitenziale (art. 1386 c.c.), la caparra è il prezzo per esercitare un diritto di recesso.
In caso di importi sproporzionati o versamenti multipli, questi possono trasformare, almeno in parte, la caparra in acconti soggetti a IVA.

Per evitare non solo contenziosi legali ma anche contestazioni di natura fiscale, è dunque fondamentale che la clausola sulla caparra sia redatta in modo chiaro e preciso.

A cura di Egidio Veronesi


contratto copia e incolla

Il pericolo del “Copia e Incolla” nei contratti aziendali

Nell’operatività quotidiana, le imprese spesso si ritrovano a dover predisporre contratti o accordi commerciali con fornitori, clienti, collaboratori o partner diversi.

In questi casi, la tentazione di ricorrere al cosiddetto “copia e incolla” – riprendendo testi già utilizzati in passato o modelli trovati in rete – è molto diffusa. Questa pratica, apparentemente veloce ed economica, può nascondere tuttavia parecchie insidie.

Ogni contratto è unico

Un contratto non è un semplice insieme di clausole standard: è un documento che regola diritti, doveri e responsabilità tra parti specifiche, in un contesto altrettanto specifico.
Un testo “generico” o riciclato rischia di non considerare:

  • le peculiarità delle parti (ad esempio, un’impresa con determinate caratteristiche strutturali e organizzative);
  • gli scopi specifici dell’accordo, che possono variare da caso a caso;
  • i riflessi giuridici e fiscali, spesso sottovalutati ma fondamentali per evitare contestazioni future;
  • gli obblighi e i rischi derivanti dalla sottoscrizione.

Se l’azienda utilizza in modo ricorrente uno stesso contratto (ad esempio quello proposto ai clienti per la vendita dei propri prodotti), è plausibile dotarsi di un modello standard aziendale, con uno spazio libero per le eventuali integrazioni. Tuttavia, quando si presenta una necessità particolare e diversa dall’ordinario, affidarsi al “copia e incolla” può rivelarsi deleterio.

Nella mia esperienza professionale, capita talvolta che un cliente, per risparmiare sulla consulenza o per evitare di ricorrere ad un avvocato, mi scriva una mail con allegato un contratto “home made” cioè fatto in casa, chiedendomi: “Mi dà una controllatina a questo contratto?”. Raramente il testo risulta adeguato: nella maggior parte dei casi necessita di una revisione completa o addirittura di una nuova stesura. Per questo consiglio sempre di chiarire fin da subito le esigenze e gli obiettivi dell’accordo: è il modo migliore per costruire un contratto davvero utile e tutelante, evitando sorprese in futuro.

Lo “schema tipo”: utile ma non sufficiente

L’utilizzo di uno schema base nella redazione di un contratto può essere un buon punto di partenza, soprattutto per avere una struttura ordinata e chiara. Tuttavia, tale schema va personalizzato: ogni clausola dovrebbe essere valutata e adattata in funzione delle finalità concrete dell’accordo e delle esigenze delle parti coinvolte.

I rischi del “Copia e Incolla”

Il ricorso indiscriminato al “copia e incolla” può comportare:

  • clausole inefficaci o nulle, perché in contrasto con la normativa applicabile;
  • contraddizioni interne tra le diverse sezioni del contratto;
  • squilibri contrattuali che potrebbero generare contenziosi;
  • maggiori rischi fiscali o legali, anche in caso di controlli o verifiche.

La chiarezza: un elemento cardine di ogni contratto

Neppure il professionista più preparato può prevedere tutte le situazioni che si potrebbero presentare nel corso del rapporto contrattuale.
Per questo è importante che il contratto:

  • sia ben strutturato, cioè redatto in modo logico e coerente;
  • eviti di diventare troppo prolisso, appesantito da formule di rito o clausole ridondanti;
  • punti alla chiarezza e all’essenzialità, così da risultare comprensibile e realmente utile alle parti in caso insorga una qualche divergenza.

A tal proposito, suggerisco di tenere sempre a mente i seguenti principi: definire in modo preciso volontà e obiettivi delle parti e non appesantire il testo con clausole improbabili o dettagliate previsioni di eventi remoti. Il Codice Civile fornisce già soluzioni per la maggior parte delle situazioni non previste. Qualora si desideri essere molto scrupolosi è possibile concludere il contratto con la formula: “Per quanto non previsto nel presente contratto o involontariamente omesso, le parti dichiarano di fare riferimento alle norme del Codice Civile”. Tuttavia, si tratta di una clausola superflua, poiché rappresenta un principio già valido in via generale.

Un contratto eccessivamente lungo e ripetitivo non solo rende più difficile la lettura, ma rischia anche di generare incertezza interpretativa. Meglio un testo breve, con poche clausole ben scritte, calibrate sulle esigenze concrete, piuttosto che un documento di decine di pagine riempito di frasi standard inutili.

Conclusione

Il contratto non è un mero adempimento formale, ma uno strumento di tutela (se formulato “ad probationem” ossia per la prova” – il cui significato ho trattato in un precedente articolo al seguente link: Forma del contratto: scritta o verbale? Facciamo chiarezza | M&W  ): serve a regolare rapporti economici e giuridici in modo chiaro e sicuro.

Per questo, anche quando si parte da un modello, è fondamentale affidarsi a professionisti in grado di interpretare e adattare il testo alle reali esigenze dell’impresa.

Un contratto sintetico, chiaro e ben calibrato sulle parti e sugli obiettivi è l’unico modo per trasformarlo in un vero strumento di tutela.

A cura di Egidio Veronesi


doppia firma

Le “clausole vessatorie“ e la doppia firma sul contratto

Quando si sottoscrive un contratto – con una banca, una compagnia telefonica o un’assicurazione – spesso ci si trova davanti a documenti composti da numerose pagine di condizioni scritte in caratteri molto piccoli.

Si tratta dei cosiddetti “contratti per adesione”, ossia contratti predisposti interamente da una delle parti (di solito il venditore o fornitore del servizio). L’altra parte non ha margini di trattativa: può soltanto accettare le condizioni così come riportate o rinunciare alla stipula. Eventuali richieste di modifica vengono generalmente respinte, con motivazioni legate a vincoli interni, necessità di autorizzazioni legali o procedure complesse.

Di seguito analizziamo il significato della doppia firma che immancabilmente questi contratti richiedono.

La doppia firma: cosa prevede il Codice civile

Il Codice civile, all’articolo 1341, stabilisce che alcune clausole sfavorevoli per chi accetta di firmare un contratto “standard” predisposto dall’altra parte, sono valide solo se vengono approvate con una firma aggiuntiva e separata.

Tra queste rientrano, ad esempio:

  • la facoltà di una sola parte di recedere liberamente dal contratto;
  • limitazioni di responsabilità;
  • decadenze o restrizioni del diritto di agire in giudizio;
  • la possibilità, se dovesse esserci un litigio, di scegliere un tribunale diverso da quello del luogo di residenza del cliente.

Queste clausole sono definite vessatorie, in quanto più sfavorevoli rispetto alle disposizioni del Codice civile, che di regola mirano a tutelare entrambe le parti del contratto.

Funzione della doppia firma

La doppia firma serve a richiamare l’attenzione di colui che sottoscrive un contratto sulle clausole vessatorie, consentendogli di leggerle con maggiore consapevolezza prima di accettarle. In pratica, viene richiesta una firma per l’intero contratto e una firma specifica e separata per approvare in modo esplicito tali clausole a lui sfavorevoli.

Il nostro buon imprenditore dovrà quindi leggere attentamente proprio le clausole richiamate con la doppia firma, cercando di comprenderle appieno.

E le altre clausole? Sarebbe bene analizzarle tutte, ma si potrà confidare che siano conformi alle norme del Codice civile poste a tutela di entrambe le parti. A tal proposito si ricorda infatti, che le clausole vessatorie non richiamate con la doppia firma risultano nulle e non hanno effetto.

Necessità di attenzione da parte di chi redige il contratto

Dal punto di vista dell’azienda proponente che predispone il contratto, è importante non commettere l’errore, non conoscendo gli effetti giuridici della normativa, di sottoporre alla doppia firma tutte le clausole del contratto, anche quelle che non sono effettivamente vessatorie. Il detto che nel più sta il meno nei contratti non vale!

Far firmare in blocco tutte le clausole, svuoterebbe di significato la norma che mira a richiamare l’attenzione solo su alcune clausole specifiche (quelle sfavorevoli appunto).

La doppia firma deve essere richiesta e apposta solo ed esclusivamente sulle clausole effettivamente vessatorie.

Conclusioni

Quando occorre firmare un contratto predisposto dall’altra parte (spesso su moduli standard) si può confidare sulla correttezza dell’altra parte; tuttavia è importante leggere con attenzione almeno le clausole indicate per la seconda firma.

A volte, nei contratti, può essere anche richiesta la terza o quarta firma, ad esempio per il consenso privacy o per l’antiriciclaggio. Tali firme non creano problemi a chi le appone, ma solo a chi le chiede se non rispettano la specifica normativa.

A cura di Egidio Veronesi


conseguenze fiscali contratto

La fiscalità nei contratti: adempimenti, obblighi e oneri in capo alle parti

Quando si sottoscrive un contratto – che sia di lavoro, di locazione, di fornitura o di collaborazione – l’attenzione si concentra spesso sugli aspetti pratici: attività da svolgere, tempi di esecuzione e condizioni economiche.

In tal modo si finisce per trascurare un elemento cruciale: le conseguenze fiscali che derivano dall’accordo.

Ogni contratto, infatti, può generare obbligazioni tributarie per le parti coinvolte. Ciò significa che, oltre a rispettare il contenuto dell’accordo, occorre considerare anche le imposte da versare, le ritenute da applicare, le eventuali dichiarazioni da presentare.

Esempi: un contratto di locazione comporta il pagamento di imposte di registro e di bollo, oltre alla tassazione dei canoni percepiti. Analogamente, un contratto di consulenza può implicare l’applicazione della ritenuta d’acconto e la successiva dichiarazione dei compensi.

Conseguenze fiscali nei contratti: le imposte

È importante distinguere tra imposte dirette e imposte indirette:

  • le imposte dirette (come IRPEF o IRES) colpiscono il reddito prodotto grazie al contratto; quindi, vanno considerate nel calcolo della convenienza economica complessiva;
  • le imposte indirette (come IVA, imposta di registro o di bollo) sono invece legate alla forma o all’esecuzione del contratto e si applicano, spesso, già al momento della sottoscrizione o del pagamento.

Rilevanza dello status delle parti

Un ulteriore aspetto spesso sottovalutato riguarda lo status delle parti. Le conseguenze fiscali variano in base alla natura giuridica ed economica dei contraenti: infatti non sono le stesse se a firmare il contratto è un imprenditore, una società o una persona fisica privata.

  • per imprese e professionisti: possono entrare in gioco IVA, deducibilità dei costi e obblighi dichiarativi specifici.
  • per le persone fisiche non titolari di partita IVA: il contratto può generare redditi tassabili come “redditi diversi” o “redditi fondiari”, con regole e adempimenti molto differenti.

Trascurare queste differenze può comportare errori, sanzioni e costi aggiuntivi. Pertanto, valutare gli effetti e conseguenze fiscali di un contratto sono aspetti fondamentali.

Esempi pratici

Può essere utile, al fine di comprendere meglio, qualche esempio pratico.

Contratto di noleggio di attrezzature

Imposte dirette: il canone di noleggio rientra nel reddito di impresa per il concedente. La tassazione è per maturazione economica e quindi deve seguire il criterio del “pro rata die” ovvero il corrispettivo viene ripartito sulla durata del contratto: se il contratto si estende su due anni solari, l’importo deve essere imputato in due esercizi.

Per l’utilizzatore, qualora si tratti di un’impresa e il noleggio sia inerente alla propria attività, il costo sarà deducibile dalle imposte. Fanno eccezione i contribuenti in contabilità semplificata che potranno, alternativamente, applicare il criterio di cassa oppure quello di registrazione della fattura.

Imposte indirette: il canone di noleggio è soggetto a IVA e richiede quindi l’emissione della fattura. Tuttavia, se il cliente è non residente e al tempo stesso anche imprenditore, la fattura dovrà essere emessa senza applicazione dell’IVA.

Contratto immobiliare o di appalto

Il contratto di noleggio rappresenta un esempio relativamente semplice. Diverso è il caso dei contratti immobiliari o di appalto, nei quali la situazione può diventare notevolmente più articolata.

In campo immobiliare, ad esempio, talvolta è necessario un esame approfondito dell’oggetto del contratto così come nel caso degli appalti, per i quali occorre indagare sia la tipologia di prestazione eseguita che il codice Ateco dell’azienda che esegue l’attività.

Conclusioni

La regola pratica, dunque, è semplice:

prima di sottoscrivere un contratto, occorre sempre chiedersi quali imposte o adempimenti possono derivarne, tenendo conto anche dello status delle parti.

In caso di dubbi, un check preventivo – anche rapido – con il proprio consulente, può evitare brutte sorprese e rendere l’accordo equilibrato, non solo sul piano legale ma anche economico.

A cura di Egidio Veronesi


elementi essenziali del contratto

Cosa deve contenere un contratto: gli elementi essenziali per la sua validità

Un contratto è un accordo scritto che serve a dare certezza a ciò che due o più soggetti si promettono reciprocamente. Come già evidenziato in un precedente articolo, la forma scritta non è sempre obbligatoria (ad esempio nei casi di compravendita o appalto), ma risulta fondamentale per formalizzare gli accordi e renderli vincolanti.

Non è necessario che un contratto sia complesso o pieno di formule giuridiche: la sua funzione principale è garantire chiarezza e tutela; tuttavia, per essere valido e utile, deve contenere alcuni elementi fondamentali (essenziali).

1. Le parti del contratto

Il contratto deve indicare chiaramente i soggetti che lo sottoscrivono:

  • persone fisiche, con l’indicazione completa dei propri dati anagrafici ossia nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza;
  • società, indicando denominazione, sede legale, numero di iscrizione al Registro imprese/Codice fiscale e generalità del rappresentante.

Un errore ricorrente da evitare consiste nell’indicare come parte contrattuale l’azienda individuale. L’impresa è definita nel Codice civile come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa e quindi costituisce un oggetto di diritto, non un soggetto. La parte contrattuale, pertanto, deve essere sempre la persona fisica che esercita l’attività di impresa, con l’indicazione delle sue generalità complete.

Esempio: non si deve indicare come parte contrattuale ‘la ditta individuale Gamma di Mario Rossi, nato a.. ecc…; bensì ‘Mario Rossi in qualità di titolare dell’impresa individuale Gamma’.

2. La causa del contratto

La causa del contratto rappresenta la ragione giuridica e pratica dell’accordo, ossia lo scopo essenziale che conferisce senso e validità al contratto stesso. Non deve essere confusa con il motivo personale per cui una parte decide di firmare.

Esempi:
– Nella compravendita la causa è lo scambio: una parte vuole trasferire un bene e l’altra vuole pagarlo.
– In un contratto di lavoro, la causa è lo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione.

Se manca la causa, il contratto non ha valore. Essa consiste nella descrizione di ciò che viene scambiato o promesso: un bene, un servizio, un’attività. L’oggetto dello scambio deve, pertanto, essere chiaro, specifico e realizzabile.

3. Il corrispettivo

In quasi tutti i contratti deve essere presente una controprestazione: il pagamento di una somma, la fornitura di un servizio, la consegna di un bene, oppure uno scambio diverso (ad esempio una permuta).

È importante indicare l’importo, le modalità e i tempi di pagamento, nonché gli aspetti fiscali delle prestazioni (che saranno oggetto di approfondimento in un prossimo articolo).

4. I tempi e le modalità di esecuzione delle prestazioni

Un contratto privo di scadenze o regole precise rischia di generare incertezze. Specificare date, termini e modalità di esecuzione delle prestazioni di entrambe le parti è fondamentale per dare chiarezza e concretezza all’accordo e prevenire liti future.

5. Le clausole aggiuntive

Oltre agli elementi essenziali, spesso si inseriscono clausole che disciplinano casi particolari, quali penali in caso di inadempimento, interessi di mora, modalità di risoluzione delle controversie, garanzie. Tali clausole non sono sempre obbligatorie, ma risultano utili per tutelare le parti.

Occorre però prestare attenzione ed evitare di inserire clausole contrarie alla legge : queste sono nulle, pur senza inficiare, nella maggior parte dei casi, la validità del contratto.

6. La forma e le firme

Infine, è necessaria la sottoscrizione del contratto da parte di tutti i soggetti coinvolti: senza firme il contratto resta carta priva di valore.

In generale è sufficiente una scrittura privata firmata; tuttavia, vi sono casi in cui la legge richiede forme particolari (ad esempio, la compravendita di un immobile deve avvenire con atto notarile).

Conclusioni

Un contratto non è un mero adempimento burocratico, ma uno strumento di sicurezza e trasparenza. Se contiene i suoi elementi essenziali – soggetti, oggetto, corrispettivo, tempi e modalità di esecuzione, eventuali clausole e firme – permette di collaborare con chiarezza, riducendo al minimo rischi e incomprensioni.

Nei prossimi articoli approfondiremo, in modo assolutamente pratico, alcuni ulteriori aspetti in modo da consentire ad ogni imprenditore di buona volontà di destreggiarsi con maggior sicurezza nel mondo dei contratti.

A cura di Egidio Veronesi


forma del contratto

Forma del contratto: scritta o verbale? Facciamo chiarezza

Quando si parla di contratti, una delle domande più comuni è la seguente: serve sempre un contratto scritto, oppure è sufficiente un accordo verbale?

La risposta dipende dal tipo di contratto e da cosa prevede la legge.

Di seguito analizziamo in modo chiaro quando è obbligatoria la forma scritta e quando, invece, è valida anche la forma verbale.

1. Che cosa si intende per “forma” del contratto?

La “forma” di un contratto indica il modo in cui si manifesta l’accordo tra le parti:

  • Forma scritta: l’accordo è redatto su supporto cartaceo o digitale.
  • Forma verbale: l’accordo avviene oralmente, a voce.
  • Per fatti concludenti: il contratto si conclude attraverso il comportamento delle parti, senza necessità di parole o scritti. Ad esempio sali su un autobus e paghi il biglietto (contratto di trasporto), oppure entri in un supermercato e metti la merce nel carrello (contratto di compravendita).

2. Il principio generale: libertà di forma

In Italia, il nostro ordinamento prevede, come principio di base, la libertà di forma (art. 1325 c.c. e art. 1350 c.c. comma 1):

Un contratto è valido anche se concluso oralmente, salvo che la legge non richieda una forma specifica (di solito quella scritta).

E’ importante tuttavia considerare che, in assenza di un documento scritto, può essere difficile dimostrare l’esistenza e il contenuto dell’accordo in caso di controversia. A tal proposito si ricorda il detto latino: “Verba volant, scripta manent! (le parole volano, gli scritti restano!)

3. Quando è obbligatoria la forma scritta – Forma "ad substantiam"

La forma scritta è obbligatoria per la validità del contratto quando la legge lo prevede espressamente (forma cosiddetta ad substantiam). In questi casi, se il contratto non è redatto per iscritto, è nullo (art. 1325, n. 4, e art. 1418, comma 2, del Codice Civile).

Ecco alcuni esempi tipici previsti dall’art. 1350 c.c.:
– contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;
– contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano diritti reali su immobili;
– contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a 9 anni;
– contratti di società o associazioni riconosciute;
– contratti di matrimonio o convenzioni matrimoniali,
– donazioni, che richiedono anche l’atto pubblico e la presenza del notaio (art. 782 c.c.).

Tutti questi contratti richiedono la forma scritta “ad substantiam”: se manca, il contratto è nullo e non produce effetti giuridici.

Nota bene

La compravendita di immobili deve essere stipulata per iscritto ma non è necessario l’intervento del notaio per la validità dell’atto: è possibile acquistare un immobile mediante scrittura privata sottoscritta dalle parti.

Tuttavia, senza l’autenticazione delle firme da parte di un notaio che ha accertato l’identità e la volontà delle parti, non è possibile procedere con la trascrizione dell’atto nei registri immobiliari. La trascrizione è essenziale per garantire la piena tutela del diritto di proprietà: in assenza di tale adempimento, per ottenere la trascrizione sarà necessario ricorrere al giudice, con inevitabili costi e tempi più lunghi.

4. Quando è valida la forma verbale

In molte situazioni della vita quotidiana, non é necessario un contratto scritto. Gli accordi verbali sono perfettamente validi, purché ci sia l’accordo tra le parti e l’oggetto sia lecito e possibile.

Esempi di contratti validi anche in forma verbale:
– acquistare un caffè al bar;
– prendere un taxi;
– accordarsi con un amico per un piccolo prestito;
– accettare un lavoro occasionale (ma attenzione ai limiti fiscali e previdenziali).

Tuttavia, la forma scritta, anche se non obbligatoria, è sempre consigliata quando:
– l’importo del contratto è rilevante;
– le condizioni del contratto  sono complesse ed articolate;
– si desidera avere una prova concreta in caso di problemi o contenziosi.

5. La forma “ad probationem”

In alcuni casi, la legge non impone la forma scritta per la validità del contratto, ma la richiede ai soli fini probatori, ossia solo come prova dell’esistenza del contratto, specialmente in sede giudiziaria. Si parla in questo caso di forma “ad probationem”.

Ad esempio, secondo l’art. 2725 c.c., i contratti che non possono essere provati per testimoni (come quelli che superano l’importo di € 2.582,28) devono essere provati attraverso un documento scritto.

In sintesi

Tipo di contratto Forma richiesta Note
Vendita di un immobile Scritta (art. 1350 c.c.) Obbligatoria per validità
Lavoro subordinato a tempo determinato Scritta Pena trasformazione in tempo indeterminato.
Acquisto di un bene al supermercato Verbale/fatti concludenti Valido anche senza contratto scritto
Prestito tra amici di piccola entità Verbale (ma meglio scritta) Per evitare controversie
Locazione abitativa di breve durata (esempio per 3 mesi) Scritta Necessaria per registrazione all’Agenzia delle Entrate

Conclusioni

La forma scritta non è sempre obbligatoria, ma rappresenta spesso una garanzia di chiarezza e sicurezza. Prima di concludere un contratto, è sempre opportuno valutare se sia il caso di formalizzare tutto per iscritto, anche solo mediante una semplice email o un documento firmato.

In caso di dubbi è consigliabile rivolgersi ad un professionista, per evitare errori che potrebbero generare contestazioni, costi imprevisti o contenziosi.

A cura di Egidio Veronesi


contratti

Perché ogni imprenditore dovrebbe conoscere (almeno) le nozioni giuridiche di base dei contratti del Codice Civile

Nella gestione dell’impresa, ogni decisione rilevante prende forma attraverso un contratto. Può trattarsi, ad esempio, di un contratto di fornitura, di affitto, di prestazione d’opera o di noleggio: ciascuno di essi comporta diritti, obblighi e talvolta rischi significativi.

Non è raro, tuttavia, che un imprenditore firmi documenti senza avere piena consapevolezza delle implicazioni giuridiche.

Proprio per questo motivo, emerge una necessità spesso sottovalutata: acquisire una conoscenza base della normativa sui contratti tipici disciplinati dal Codice Civile.

Di seguito, inizierò quindi a illustrare i principali motivi per i quali ogni “buon” imprenditore dovrebbe conoscere le nozioni basilari, indispensabili per orientarsi con sufficiente sicurezza nel mondo dei contratti che quotidianamente vengono firmati (un contratto non deve necessariamente essere scritto per avere validità, in quanto, in molti casi, la legge consente anche la forma verbale, purché siano rispettati determinati requisiti.).

Nei prossimi articoli verranno approfonditi:

  • le regole fondamentali sulla formazione del contratto, con particolare attenzione agli elementi che deve contenere obbligatoriamente e alla corretta redazione delle varie clausole.
  • i principali contratti tipici, esaminando le loro caratteristiche e le obbligazioni che comportano per le parti.

L’importanza di una conoscenza giuridica minima

Conoscere le regole alla base dei vari contratti non significa né diventare esperti di diritto, né pretendere che l’imprenditore possa sostituirsi al lavoro di un avvocato o consulente. Comprendere la struttura e le caratteristiche fondamentali dei contratti più comuni è semplicemente un dovere di buon senso.

Perché?

Perché firmare un contratto significa assumere obblighi giuridici e responsabilità. Di conseguenza, se non si conoscono il significato dei termini utilizzati o gli effetti delle clausole inserite, le probabilità di commettere errori, che possono mettere a rischio l’equilibrio e la sicurezza dell’impresa, aumentano drasticamente.

Inoltre, una conoscenza anche basilare delle regole contrattuali consente all’imprenditore di valutare, con maggiore consapevolezza, se e quando sia opportuno coinvolgere il proprio avvocato o commercialista per l’analisi e la valutazione di un contratto. Questo approccio permette di utilizzare in modo più efficiente le risorse professionali, evitando sia sottovalutazioni pericolose, sia consulenze superflue (e costose).

I contratti tipici: una bussola nel mare delle trattative

Il Codice Civile italiano disciplina una serie di contratti tipici, ognuno dei quali presenta una struttura giuridica specifica e ben definita. Tra i principali si possono trovare:
– contratto di compravendita;
– contratto di locazione o affitto;
– contratto di appalto;
– contratto di agenzia;
– contratto di società;
– contratto di prestazione d’opera;
– …e molti altri.

Conoscerli – anche solo in termini di definizione, obblighi delle parti e rischi principali – permette all’imprenditore di orientarsi meglio nelle trattative, di riconoscere clausole anomale e, soprattutto, di capire se è necessario coinvolgere un consulente legale o fiscale.

Prevenire i rischi legali attraverso la conoscenza

Prevenire è meglio che curare, soprattutto quando la “cura” coincide con una causa legale: i costi, in termini economici e di tempo, possono essere molto elevati, anche solo per far valere le proprie ragioni.

Molte controversie tra imprese, clienti e fornitori nascono da incomprensioni contrattuali o da clausole redatte in modo impreciso o interpretate erroneamente. In questi casi, i fraintendimenti possono generare conflitti difficili da gestire e potenzialmente dannosi per il proprio business. Disporre di una formazione base in materia contrattuale può quindi rappresentare un efficace strumento di prevenzione, riducendo i rischi legali e migliorando la qualità dei rapporti con clienti, fornitori e collaboratori.

Un investimento in consapevolezza

In definitiva, per un imprenditore, conoscere la normativa contrattuale di base non è un lusso,

ma un investimento in autonomia, consapevolezza e sicurezza nella gestione quotidiana dei propri affari.

A cura di Egidio Veronesi


prestazioni accessorie

Le Prestazioni accessorie nelle S.r.l.: strumento strategico di risparmio fiscale e compenso ai soci lavoratori

Uno dei tanti cavalli di battaglia proposti dai consulenti per attrarre online potenziali clienti interessati al risparmio fiscale, è rappresentato dalle cosiddette “prestazioni accessorie”. Si tratta di una modalità per compensare i soci che prestano attività lavorativa all’interno della Srl, alternativa al più spesso usato (o abusato) “compenso amministratori”.

In molti casi, infatti, soprattutto nelle Srl di piccole dimensioni, i soci lavorano direttamente e manualmente nell’impresa, spesso al fianco dei dipendenti. In tali contesti, il compenso riconosciuto ai soci riguarda principalmente l’attività lavorativa prestata, mentre la funzione amministrativa viene retribuita in misura minore ed esercitata da uno solo dei soci.

Cos'è una prestazione accessoria?

Le prestazioni accessorie sono obblighi, diversi dal conferimento di capitale, che i soci si impegnano a svolgere in favore della società. Sono previste dallo statuto e possono riguardare, ad esempio:

  • attività operative o consulenziali;
  • concessione in uso di beni;
  • obblighi di non concorrenza o di presenza operativa.

Nella pratica, la prestazione accessoria più diffusa consiste proprio nell’obbligo per il socio di prestare attività lavorativa all’interno della società.

In molte realtà di piccole dimensioni, è mal tollerata la presenza di soci ‘non operativi’, ossia soci che non partecipano attivamente alla gestione quotidiana ma che, in qualità di apportatori di capitale, avanzano comunque legittima pretesa alla distribuzione degli utili. Spesso è difficile far comprendere che l’utile societario è generato sia dal lavoro prestato che dal capitale impiegato. In questo scenario, l’obbligo della prestazione accessoria previsto in statuto rappresenta una soluzione efficace per riequilibrare i rapporti tra i soci: qualora un socio cessi di svolgere la propria attività lavorativa, viene meno il presupposto per la sua permanenza in società e ciò può giustificare la sua esclusione e liquidazione.

Prestazione accessoria: inquadramento giuridico

La prestazione accessoria deve essere espressamente prevista nello statuto, secondo quanto stabilito dall’art. 2464, comma 3, del Codice civile. Lo statuto deve indicare il contenuto dell’obbligo, la durata, le modalità di esecuzione e il compenso (o almeno la modalità di determinazione).

È essenziale che la prestazione accessoria sia ben definita nello statuto onde evitare che l’obbligo si configuri come un rapporto di lavoro subordinato. È infatti perfettamente lecito instaurare un rapporto di lavoro subordinato tra un socio e la propria Srl; tuttavia, è importante distinguerlo chiaramente dalla prestazione accessoria.

Prestazione accessoria Vs Compenso amministratore

La scelta tra prestazione accessoria e compenso amministratore dipende dalla reale attività svolta dal socio:

  • se il socio esercita funzioni di gestione, è meglio attribuirgli un compenso come amministratore;
  • se lavora esclusivamente in modo manuale, è preferibile scegliere la prestazione accessoria;
  • se svolge attività miste, occorre valutare bene le sue funzioni e poi predisporre una documentazione coerente (verbali, modifiche statutarie ecc.).

Aspetti fiscali

Deducibilità e regime fiscale

Il compenso corrisposto al socio è deducibile per la società sia nel caso di “compenso amministratore” che di “prestazione accessoria”. Il trattamento fiscale del compenso è dunque il medesimo, con la possibilità di fruire di tutte le relative detrazioni per redditi assimilabili al lavoro dipendente. Anche per quanto riguarda rimborsi e trasferte (tematiche già trattate in precedenti articoli), la disciplina applicabile è la medesima.

Tuttavia, occorre prestare attenzione alla corretta qualificazione del reddito. In caso di errata qualificazione del reddito, l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare la deducibilità del compenso. Si tratta di una situazione poco frequente, ma che non può essere esclusa del tutto.

Congruità del compenso

Un altro aspetto rilevante riguarda l’ammontare sia del compenso amministratore che della prestazione accessoria. Per quanto riguarda il compenso amministratore, un’ampia giurisprudenza ne ha riconosciuto la deducibilità anche per importi elevati, purché non del tutto sproporzionati rispetto al valore di mercato. Lo stesso principio di cautela vale anche per la prestazione accessoria: il termine stesso ‘prestazione’ implica lo svolgimento di un’attività precisa, che deve essere ben definita nello statuto e coerente con il compenso riconosciuto.

Ogni scelta deve essere guida da criteri di ragionevolezza e congruità. Finché non interviene un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza, certe situazioni potrebbero sembrare prive di rischi, ma ciò non giustifica scelte scorrette.

L’affermazione “generica” secondo cui sia meglio riconoscere un compenso tramite prestazione accessoria anziché distribuire un dividendo è corretta, ma se rimaniamo entro i limiti della cosiddetta “congruità”: il compenso deve essere sempre adeguato e giustificato. Inoltre, va considerato che tale scelta risulta generalmente più vantaggiosa per redditi medio-bassi. Infatti, quando il reddito personale del socio supera i 50 mila euro, la tassazione della persona fisica (Irpef e addizionali) è praticamente la stessa della tassazione della società (Ires 24%) + ritenuta del 26% sui dividendi netti distribuiti.

Aspetti previdenziali

Un elemento spesso trascurato ma rilevante ai fini della convenienza complessiva è la contribuzione previdenziale. Il compenso per prestazioni accessorie, se riconducibile ad attività di lavoro, come quello per l’amministratore) è soggetto a contributi INPS. Questo onere previdenziale può rendere meno conveniente il pagamento di un compenso rispetto alla distribuzione di dividendi, che non è soggetta a contributi.

Pertanto, in presenza di redditi contenuti, può risultare più vantaggioso fiscalmente distribuire utili, anziché riconoscere compensi soggetti a contributi previdenziali.

Il caso delle Srl Artigiane

Un discorso a parte merita la posizione delle Srl artigiane. Infatti:

  • Si applica la doppia contribuzione INPS in caso di compenso amministratore.
  • I contributi INPS (deducibili dal reddito imponibile, riducendo di conseguenza l’Irpef dovuta) contribuiscono ad incrementare il monte contributivo della pensione (che prima o poi arriva). I giovani, in particolare, tendono a sottovalutare l’importanza della contribuzione previdenziale, ritenendola un costo non necessario vista la lontananza della pensione, salvo poi ricredersi con l’avanzare dell’età.
  • Una Srl artigiana, iscritta nell’Albo delle imprese artigiane, può arrivare a risparmiare oltre 2.000 euro annui di contributi per ciascun lavoratore, rispetto ad una società con le medesime caratteristiche, non iscritta all’albo.

Conclusioni

Come spesso accade, una corretta “pianificazione fiscale” richiede un’analisi approfondita e non può essere improvvisata. Allo stesso modo, a mio avviso, non può essere trascurata la “pianificazione previdenziale”, che deve essere considerata parte integrante delle valutazioni economiche di una società.

E’ fondamentale  tenere conto sia del tipo di rapporto lavorativo tra i soci e la società, sia degli importi in gioco: all’aumentare degli importi (sia degli utili che dei compensi) i vantaggi o gli svantaggi vanno spesso a ridimensionarsi.

Ogni volta, quindi, va fatto un accorto lavoro di analisi prima di prendere le decisioni più coerenti e vantaggiose.

A cura di Egidio Veronesi