Holding: uno strumento utile solo se ben utilizzato
Negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse verso la costituzione di società holding, spesso viste come una soluzione per la gestione del patrimonio e delle partecipazioni. Molto spesso, tuttavia, troviamo in rete una moltitudine di esperti che promuovono l’utilizzo delle holding principalmente per finalità di risparmio fiscale.
In questo articolo, cercheremo di fare chiarezza sull’argomento, evidenziando i reali vantaggi e i potenziali rischi, al fine di fornire strumenti utili per assumere decisioni corrette e informate.
Che cos’è una Holding
La holding è una società costituita principalmente per detenere partecipazioni in altre società o per gestire asset patrimoniali in modo strutturato e strategico. Le sue funzioni principali possono includere:
- la pianificazione successoria;
- la tutela del patrimonio;
- l’ottimizzazione delle strategie aziendali.
Esempi pratici di utilizzo corretto
Caso 1 – Pianificazione patrimoniale e successoria
Una famiglia imprenditoriale crea una holding per detenere le quote di due società operative: un’azienda di produzione e una immobiliare. I genitori trasferiscono progressivamente le quote della holding ai figli tramite patti di famiglia, ottenendo vantaggi in termini di continuità aziendale e risparmio sulle imposte di successione.
Caso 2 – Acquisizione di nuove partecipazioni
Un imprenditore costituisce una holding per accentrare le sue partecipazioni in tre società già operative ed utilizzarla come veicolo per future acquisizioni. La holding stipula contratti di finanziamento infragruppo e centralizza la tesoreria, migliorando la gestione finanziaria complessiva e la capacità di accesso al credito.
Gli usi impropri: cosa evitare assolutamente
Troppo spesso, si assiste all’utilizzo della holding con finalità distorte, principalmente per ottenere vantaggi fiscali indebiti. Tra gli utilizzi impropri più comuni troviamo:
- intestazione alla holding di beni personali dei soci, come immobili, auto di lusso o imbarcazioni, pur continuando però a farne un uso privato e personale;
- addebito alla holding di spese non inerenti all’attività d’impresa, come viaggi, spese familiari o altri costi di natura personale;
- utilizzo della holding come “bancomat”, prelevando fondi senza giustificazione o senza documentazione coerente con i rapporti societari e fiscali.
Esempi pratici di uso improprio (ma rimediabile)
Caso 1 – Immobile intestato alla holding ma usato dai soci
Due soci costituiscono una holding e le intestano una villa al mare. Formalmente la villa è un asset aziendale, ma in realtà viene utilizzata esclusivamente per vacanze private dai soci e dalle rispettive famiglie, senza alcun canone di locazione o contratto.
Caso 2 – Auto intestate alla holding ma usate privatamente
Una holding acquista due SUV di alta gamma intestandoli formalmente a sé stessa, ma i veicoli sono utilizzati esclusivamente dai soci per spostamenti personali.
Nei due casi illustrati il rimedio è far pagare ai soci un corrispettivo per l’utilizzo dei beni (auto, case e imbarcazioni) a “valori di mercato” con applicazione della relativa Iva. Tuttavia, ciò comporta la perdita dei vantaggi fiscali che si intendevano conseguire. In alcuni casi, l’obiettivo reale è quello di nascondere la disponibilità di beni intestandoli alla holding, distogliendo così il fisco da importanti indicatori di ricchezza.
Caso 3 – Prelievi non giustificati dal conto corrente societario
Un socio utilizza il conto corrente della holding per coprire spese personali (ad esempio: ristoranti, voli, hotel, utenze domestiche), senza che ci siano rimborsi spese o compensi formalmente deliberati.
Il caso n.3 non è invece rimediabile : un simile comportamento funziona fino a quando non interviene l’Agenzia delle Entrate.
I rischi fiscali: l’interposizione fittizia
Nei casi di utilizzo improprio ed in particolare nel terzo caso, l’Agenzia delle Entrate può contestare l’interposizione fittizia ai sensi dell’art. 37 del DPR 600/1973. In presenza di tale condotta, l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di riqualificare le operazioni, attribuendo direttamente ai soci il reddito o il beneficio ottenuto tramite la holding, con recupero delle imposte dovute ed applicazione di sanzioni e interessi.
Conclusioni
La costituzione di una holding può rappresentare una scelta strategica in presenza di una reale esigenza di organizzazione societaria o patrimoniale. In caso contrario, la creazione di una struttura societaria esclusivamente finalizzata ad ottenere vantaggi fiscali indebiti o a nascondere beni personali può esporre i soci a conseguenze fiscali rilevanti.
Pertanto, è essenziale affidarsi a professionisti esperti, in grado di valutare attentamente l’opportunità della costituzione di una holding ed in grado di strutturarla correttamente dal punto di vista legale, fiscale e operativo.
A cura di Egidio Veronesi
Come si valuta un marchio aziendale? Una breve guida ai principali criteri e parametri da considerare
Il marchio rappresenta molto più di un semplice logo o nome: è ciò che rende un’azienda riconoscibile, affidabile e diversa dalle altre. Pensiamo a brand come Apple, Nike o Ferrari: il loro valore trascende i prodotti commercializzati. Ma come si determina il valore economico di un marchio?
Di seguito si illustrano i principali criteri e parametri utilizzati per valutare il valore di un marchio aziendale.
Cos’è un marchio?
Un marchio è qualsiasi segno distintivo (nome, simbolo, slogan, ecc.) che serve a identificare un’azienda o i suoi prodotti. Oltre all’aspetto grafico, un marchio racchiude anche la reputazione, la fiducia del pubblico e l’immagine che le persone hanno dell’azienda.
Come si valuta un marchio? I tre principali metodi
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Metodo dei costi
Si basa sui costi sostenuti per creare e promuovere il marchio (ad esempio grafica, pubblicità, registrazioni). Questo metodo è utile, ma non riflette davvero il valore attuale di mercato di un marchio.
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Metodo del confronto
Consiste nel confrontare il marchio con altri simili già venduti o valutati. Questo approccio presuppone la disponibilità di dati pubblici o transazioni reali, non sempre facilmente accessibili.
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Metodo dei guadagni futuri
È il metodo più utilizzato: si calcola quanto il marchio potrà far guadagnare all’azienda nei prossimi anni. Una delle modalità applicative prevede la stima del canone che si dovrebbe pagare per acquisire in licenza un marchio equivalente: tale importo, moltiplicato per gli anni di utilizzo previsti e opportunamente attualizzato con una formula finanziaria, fornisce una stima del valore del marchio. Se ad esempio l’uso di un marchio simile in licenza comporterebbe un costo annuo di 20.000 euro e si ipotizza un orizzonte temporale di sfruttamento di 10 anni, allora il marchio avrà un valore di circa 200 mila euro. Alla base di questa valutazione, in ogni caso, va considerato se effettivamente il marchio ha una “forza commerciale” e se lo si può provare in modo adeguato nella perizia di valutazione.
Cosa si prende in considerazione nella valutazione?
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Forza del marchio
Un marchio forte è conosciuto, stimato e seguito. Gli elementi che concorrono a determinare la forza del marchio includono:
- ampia riconoscibilità (principalmente dai potenziali clienti che possono scegliere l’azienda, convinti della bontà del marchio);
- fedeltà da parte degli attuali clienti;
- reputazione positiva consolidata nel tempo.
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Posizione sul mercato
Si valuta il grado di presenza e rilevanza del marchio all’interno del proprio settore di riferimento. Gli aspetti da analizzare sono:
- È leader o è uno tra tanti?
- Ha una buona quota di mercato?
- Si distingue dalla concorrenza?
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Guadagni legati al marchio
Si analizzano i prodotti o servizi venduti grazie al marchio. In particolare, occorre domandarsi:
- Quanto fattura l’azienda grazie al marchio?
- Può applicare prezzi più alti perché è un brand noto?
L’obbiettivo è comprendere quanto l’azienda fattura in più grazie al marchio, rispetto al caso in cui esso non esistesse.
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Protezione legale
Un marchio registrato e ben tutelato sotto il profilo legale presenta un valore superiore, perché è più difficile da copiare o usare senza permesso.
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Futuro e rischi
Si valuta anche per quanto tempo il marchio potrà continuare a generare valore e i potenziali rischi connessi alla sua permanenza sul mercato (ad esempio moda passeggera, concorrenza, crisi di reputazione, ecc.).
Ci sono regole internazionali?
Sì, la valutazione di un marchio dovrebbe sempre essere effettuata in conformità a standard internazionali, al fine di garantire coerenza e attendibilità dei risultati. Tra i principali riferimenti normativi troviamo:
- La norma ISO 10668, che definisce le linee guida per valutare i marchi. https://www.iso.org/standard/46032.html
- Alcuni principi contabili internazionali (usati nelle grandi aziende e nelle quotazioni in borsa).
Secondo la definizione contenuta nella nota 2.2 dei principi ISO 10668, il marchio è: “asset immateriale correlato al marketing, inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, nomi, termini, segni, simboli, loghi e design, o una combinazione di questi, destinati a identificare beni, servizi o entità, o una combinazione di questi, creando immagini e associazioni distintive nella mente degli stakeholder, generando così benefici/valori economici”.
Considerazioni finali
Valutare un marchio non è semplice e come scritto in precedenza, richiede un’analisi approfondita del legame tra il marchio ed i prodotti o servizi ai quali esso è associato.
Talvolta sul web è facile imbattersi nel suggerimento di registrare un marchio semplicemente con il “nome e cognome” del titolare. Tale approccio, se non adeguatamente motivato, può risultare fuorviante. È infatti opportuno che l’imprenditore si ponga una domanda fondamentale: quanto riuscirebbe a vendere l’azienda grazie al marchio, se io non ne facessi più parte?
Nella realtà esistono molti marchi coincidenti con il cognome del fondatore dell’azienda; si pensi a Galbani, Olivetti ecc. Si tratta, tuttavia, di realtà aziendali con storie importanti e un‘identità forte e autonoma, rispetto al bar di quartiere o alla piccola impresa artigianale.
Questo non significa, tuttavia, che il marchio non debba essere tutelato: per un’azienda con un buon fatturato e una storia di rilievo, la registrazione del proprio marchio rappresenta un atto di tutela e valorizzazione del proprio patrimonio. Al contrario, operazioni meramente strumentali, finalizzate unicamente ad un effimero risparmio fiscale, – ad esempio la registrazione di un marchio da parte di una piccola azienda, il cui valore e fatturato è legato quasi esclusivamente alle persone di titolari o soci, per poi darlo immediatamente in licenza alla stessa – devono essere attentamente valutate, soprattutto qualora il valore del marchio sia difficilmente dissociabile dalla persona fisica del titolare o dei soci. In tali casi, la perizia di stima assume un ruolo centrale e deve ripercorrere e giustificare tutte le fasi del processo valutativo, dimostrando con elementi concreti la reale capacità del marchio di generare valore in autonomia.
Infine, teniamo ben presente che la coerenza e la solidità di tali operazioni emergono in modo equivocabile solo in presenza di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate: finché nessuno controlla (Agenzia delle Entrate) sono tutti bravi e intelligenti.
A cura di Egidio Veronesi
Strategie di risparmio fiscale: il Marchio
Tra i tanti suggerimenti per risparmiare sulle imposte che si trovano in rete, uno dei più frequenti (e a dir il vero che fa maggior presa sul povero contribuente tartassato dalle tasse) è il seguente: registrare un marchio a nome proprio e darlo in concessione alla propria azienda.
Si tratta di un’operazione che, se ben strutturata, può generare un vantaggio fiscale significativo; tuttavia, è importante comprenderne correttamente il funzionamento e i limiti applicativi.
Il regime di tassazione della concessione in uso del marchio da parte di una persona fisica
I proventi (Royalties) percepiti per la concessione in uso di un marchio sono tassati a seconda della qualifica di chi li percepisce:
- Se il percettore è l’autore o proprietario del marchio, i compensi sono considerati redditi di “lavoro autonomo” e sono tassati in dichiarazione dei redditi previa deduzione forfettaria del 25%. Quindi se il contribuente da in uso il marchio alla propria azienda in cambio di una royalty di euro 10.000 annuali, verranno tassati solamente euro 7.500. Inoltre, se il contribuente ha meno di 35 anni la deduzione passa dal 25% al 40%, con ulteriore risparmio fiscale. Se il contribuente è invece artigiano o commerciante (e paga quindi l’Inps), le royalties non sono soggette a contribuzione, generando un risparmio ancora maggiore.
- Se il percettore non è l’autore del marchio ma lo ha acquistato e successivamente concesso in uso ad una azienda, i compensi sono considerati reddito cosiddetto “diverso” e la tassazione sarà ridotta in ogni caso del 25%.
Vantaggi per la società concessionaria (ad esempio una Srl)
Se la società a cui viene dato in concessione il marchio è una Srl, potrà dedurre dal proprio reddito il costo delle royalties corrisposte.
Ad esempio, su un compenso annuo di euro 10.000 corrisposto per l’uso del marchio, la deduzione forfettaria del 25% prevista per il percettore comporta che euro 2.500 risultano esclusi da tassazione per la persona fisica. Questi euro 2.500 restano tuttavia un costo deducibile per la società che avrà un risparmio fiscale di circa 697,50 euro, calcolato moltiplicando 2500 euro per la tassazione del 27,9%.
Contributi INPS: quando si risparmia?
Il risparmio contributivo per la persona fisica dipende da alcuni fattori:
- Se il reddito da royalties non viene assoggettato a contribuzione Inps, il risparmio è pari a zero.
- Se il reddito complessivo della persona fisica non supera il minimale contributivo annuo (euro 18.555 per il 2025): i contributi si pagano comunque sul minimale, senza alcun risparmio aggiuntivo.
- Se il reddito complessivo della persona fisica supera il minimale contributivo, il risparmio fiscale può oscillare tra il 24 e il 25%. Va considerato però che i contributi sono deducibili dal reddito per cui una discreta parte rientra sotto forma di minori imposte (tra il 25 e il 40% in media). Inoltre, i contributi (deducibili dalle imposte) vanno caricati nel montante contributivo che rileva ai fini della futura pensione.
Nella pratica, il risparmio fiscale annuo su euro 10.000 di royalties, al netto di tutto, può oscillare da euro 700 fino ad euro 2.300 a seconda della situazione contributiva del percettore. Ovviamente più alto è l’importo delle royalties, maggiore sarà il risparmio fiscale ottenibile.
Limiti e soluzioni nella concessione in uso del marchio
Esclusione delle imprese individuali
Un imprenditore individuale che registra un marchio non può concederlo in uso alla propria azienda. Un eventuale contratto di concessione sarebbe nullo, in quanto non si può stipulare un contratto con sé stessi. Eppure, nonostante l’illegittimità, mi è capitato di vedere simili operazioni.
Soluzione fittizia: intestare il marchio ad un familiare
Una soluzione “di comodo” talvolta adottata consiste nel registrare il marchio a nome della moglie dell’imprenditore. In questo modo sarà lei, persona distinta, a concederlo in uso all’impresa. Tuttavia, questa scelta pone criticità e dubbi: è poco credibile che la moglie, magari estranea all’attività aziendale, sia l’effettiva ideatrice e titolare del marchio.
Alternative all’intestazione del marchio ad un familiare
Possibili alternative potrebbero essere:
- Registrare il marchio a nome del titolare che poi lo dona alla moglie: in questo caso poiché il donatario non è l’autore del marchio, la riduzione dell’imponibile del 25% non è consentita.
- Cedere il marchio alla moglie: questa operazione genera un reddito tassabile per il cedente pari al valore di mercato del marchio, che – per giustificare un canone annuo di royalties di euro 10.000- dovrebbe essere valutato non meno di 60/70 mila o più euro. In tal caso, il costo fiscale iniziale della cessione renderebbe l’operazione non conveniente, dato che il recupero delle imposte pagate richiederebbe decenni.
Soluzione praticabile: intestare il marchio ad un socio di società
Una soluzione più solida, sul piano giuridico e fiscale, si realizza nelle società di capitali (ad esempio una Srl). In questi casi, il marchio viene registrato a nome di un socio che lo concede in uso alla società. Il socio percepisce le royalties e beneficia delle agevolazioni fiscali previste. Resta tuttavia necessario che il socio possa dimostrare di essere l’effettivo ideatore del marchio e di averlo creato per conto proprio, indipendentemente dalla società. E gli altri soci cosa potranno dire? La discussione è aperta.
Nel prossimo articolo vedremo come si valuta il marchio e quali sono i costi necessari per tutta l’operazione, con l’obbiettivo di comprenderne la reale convenienza economica.
A cura di Egidio Veronesi
Il Risparmio fiscale tra leggenda e realtà
Nei primi anni della mia professione, facevo il praticantato presso un commercialista ‘più anziano’, che, nel momento in cui emetteva le fatture, era solito dirmi: “Per il cliente, il compenso del commercialista deve venire fuori dal risparmio di imposte che gli farai avere”.
È ancora vera e condivisibile questa affermazione, legata alla funzione del consulente come tecnico del fisco?
Per molti, purtroppo, è ancora valida. Tuttavia, nel tempo, il commercialista ha assunto un ruolo ben più ampio e complesso. Non è più solo il professionista che “fa pagare meno tasse”, ma è diventato, spesso suo malgrado, un vero e proprio “parafulmine” per tutti i rischi legati alla mancata osservanza della normativa fiscale, tributaria e societaria. Le leggi che riguardano le imprese sono moltissime, complesse e in continua evoluzione e il commercialista si trova frequentemente a gestirne gli impatti pratici e operativi.
Fortunatamente, sempre più imprenditori iniziano a considerare il commercialista non solo come un tecnico delle imposte o un “parafulmine”, ma come un partner strategico per la gestione della propria azienda. Una figura che, oltre alla dichiarazione dei redditi e al calcolo delle imposte, li accompagna in decisioni cruciali per l’evoluzione della propria attività: dalla valutazione della gestione corrente, alle analisi per nuovi investimenti, opportunità di business e di acquisizioni fino all’ accesso a strumenti di finanza agevolata.
Come riportato in precedenti articoli, il risparmio fiscale è importante, ma ancor più importante è la consapevolezza dell’andamento della propria impresa e dello sviluppo del proprio business, nonché la comprensione del contesto economico in cui si opera.
Ossessione per il Risparmio fiscale
Il pensiero dominante in molti imprenditori è ancora tuttavia legato al risparmio fiscale. Capita così che, dopo aver discusso del bilancio e delle imposte da pagare, anche se l’azienda ha generato ottimi utili, l’umore cambia. L’imprenditore esce dallo studio deluso, preoccupato, con l’aria triste e abbattuta. Non importa se gli utili sono stati alti (e così di conseguenza le imposte): novanta volte su cento, appena rientrato in azienda, finisce per cercare in rete frasi come “risparmio fiscale” o “come risparmiare le tasse” o ancora meglio “come non pagare le tasse”.
Paradossalmente, quando l’azienda fa pochi utili (o addirittura è in perdita) e non ci sono tasse da pagare, la soddisfazione è maggiore, il cliente esce dallo studio felice e di certo non si preoccuperà di digitare su Google “come migliorare la propria impresa” o “come fare nuovo business”.
Stress da pagamento estivo delle tasse
Il pagamento delle imposte, soprattutto d’estate, è uno dei momenti più “dolorosi” dell’anno. Quando gli affari vanno bene, le imposte possono essere anche molto elevate. A questo si aggiunge l’effetto degli acconti: dovendo pagare le tasse in anticipo sullo stesso reddito dell’anno precedente, soprattutto in caso di aumento considerevole del reddito da un anno all’altro, l’imprenditore si ritrova a dover versare sia un saldo di imposta rilevante sia un acconto molto elevato, proprio nei mesi di giugno e luglio, poco prima delle ferie. Il risultato? Una sensazione di pressione e frustrazione incessante.
A tal proposito, spesso racconto in tono ironico, la storiella di quel cliente che sta per partire per le vacanze al mare e dopo aver caricato la famiglia, le valigie e il canotto sul portapacchi dell’auto, sente squillare il telefono. Rientra in casa per rispondere e dopo pochi minuti torna verso l’auto e dice: “Era il commercialista. Mi ha appena detto quante tasse devo pagare. Scendete tutti, non abbiamo più i soldi per la vacanza…”
Soluzioni per evitare il salasso estivo delle imposte
Proprio per evitare questi salassi fiscali estivi, si propone ai clienti di trasformare l’impresa in una Srl con l’attribuzione di un compenso mensile all’imprenditore/amministratore, così da fargli pagare tasse e contributi ogni mese, evitando picchi estivi troppo pesanti.
A ciò spesso si affiancano strumenti come rimborsi chilometrici, trasferte esenti, welfare aziendale o una suddivisione del reddito con altri membri della famiglia. Sono tutte soluzioni che, se ben applicate, possono generare risparmi anche significativi, sebbene mai eccessivi.
Attenzione ai falsi esperti del web
Il problema è che gli strumenti, di cui abbiamo appena parlato, spesso non vengono comunicati abbastanza ai clienti. Di conseguenza, molti finiscono per affidarsi agli “esperti del web”. Ho visto pianificazioni fiscali proposte da tali esperti che dimezzano il carico fiscale: in realtà molte di queste pianificazioni sono furbesche e poco trasparenti perché non tengono conto delle dinamiche fiscali. La tassazione sulle persone fisiche, ad esempio, non raggiunge quasi mai il 60% come si legge online. In dichiarazione dei redditi, infatti, spesso abbiamo detrazioni di imposta, oneri deducibili, deduzioni per bonus e superbonus, per cui il 60% diventa a consuntivo circa un 30%.
Molti di questi esperti che si trovano in rete sono in realtà più abili nel marketing e nel catturare i clienti che nella pianificazione fiscale e sfruttano proprio la mancanza di comunicazione tra cliente e commercialista. A volte, il commercialista applica già strumenti di pianificazione fiscale ma non li spiega chiaramente al cliente, che quindi non li percepisce come un reale vantaggio.
Il primo suggerimento utile per un reale ed effettivo risparmio fiscale è, dunque, di non affidarsi al primo esperto di turno che si trova in rete, ma di confrontarsi con il proprio commercialista che ben conosce la propria realtà, chiedendogli di valutare gli strumenti di pianificazione fiscale più opportuni.
Esempio pratico
Per chiudere con un esempio concreto, uno degli ultimi quesiti che ci è arrivato via email, è stato quello di un idraulico che ci ha scritto: “Chiedo conferma di quanto mi ha suggerito l’esperto: mi ha consigliato di far registrare il marchio aziendale (che coincide con il mio nome e cognome) a nome di mia moglie, la quale poi me lo da in concessione.”
Lascio a chi legge il commento sul valore che può avere un tale marchio e sulla deducibilità del canone di concessione. Magari per mille euro di deduzione all’anno, tra costi per la perizia sul marchio, costi per la registrazione e costi per il contratto di concessione forse ci vorranno 10 anni per recuperare la spesa inziale.
A cura di Egidio Veronesi
Criteri e suggerimenti per scegliere l'avvocato più adatto per il contenzioso aziendale
La scelta dell’avvocato più idoneo per affrontare un contenzioso o una causa legale rappresenta una decisione importante che deve essere effettuata con consapevolezza, dopo aver valutato diversi fattori.
Spesso le critiche rivolte ad un professionista, accusato di aver fornito un’assistenza professionale inadeguata o in alcuni casi di aver commesso errori che hanno comportato conseguenze significative, si rivelano infondate. Infatti, il cliente che sceglie il professionista senza la dovuta attenzione, può incorrere nella c.d. “culpa in eligendo”, ovvero la responsabilità per non aver effettuato una scelta ponderata.
Il primo errore da evitare è dunque quello di affidarsi al caso o alle proprie conoscenze personali. Chi lamenta danni derivanti dall’operato di un legale, deve tener presente che il professionista non è vincolato a un obbligo di risultato, bensì ha l’obbligo di svolgere diligentemente la propria attività. Pertanto, affermazioni quali “se perdi la causa non ti pago” o “se perdi la causa ti pago meno” non trovano giustificazione giuridica.
Un avvocato competente ed esperto può determinare l’esito favorevole o sfavorevole della causa. Di seguito si riportano quindi i principali elementi da considerare per una scelta consapevole e strategica.
Criteri per la selezione dell'avvocato
1. Specializzazione
Per prima cosa occorre valutare la materia oggetto della controversia: il diritto si suddivide in molteplici settori, ciascuno dei quali richiede competenze specifiche e aggiornate. Oltre alla specializzazione, è importante che l’avvocato possieda un approccio pragmatico e sia in grado di fornire sia una valutazione realistica in merito alla convenienza economica di intraprendere una causa, rispetto ad una eventuale transazione; sia un’analisi delle possibilità di successo.
Ad esempio, se l’azienda deve affrontare una causa in ambito lavorativo, è preferibile rivolgersi ad un avvocato esperto in diritto del lavoro (cosiddetto giuslavorista), in caso di controversie con il fisco occorre avvalersi di un avvocato “tributarista”, mentre nelle liti tra soci è opportuno affidarsi ad un esperto di diritto societario. In ambito penale esistono ulteriori specializzazioni: ad esempio vi sono avvocati specializzati nel “diritto penale tributario”, altri specializzati nel “diritto penale ambientale”, altri ancora nel diritto penale fallimentare.
2. Esperienza
L’esperienza dell’avvocato nel trattare casi analoghi è un indicatore fondamentale della sua capacità di gestire il contenzioso. È consigliabile informarsi sul numero di procedimenti simili trattati ,sul tasso di successo ottenuto e sull’approccio strategico adottato.
A tal proposito, utile può essere il consiglio del proprio commercialista o di altri imprenditori che hanno affrontato problematiche simili. Nella nostra rete professionale, costruita nel corso di decenni, abbiamo relazioni e disponibilità di numerosi legali specializzati in molteplici settori che possiamo suggerire per la migliore assistenza del cliente. E’ tuttavia fondamentale chiarire sin da subito, sia al cliente sia al professionista, che la responsabilità della scelta e dell’esito della causa rimane in capo all’imprenditore.
3. Reputazione
La reputazione dell’avvocato fornisce informazioni preziose sulla sua professionalità e sull’efficacia nel rappresentare i clienti. Recensioni, testimonianze e referenze possono offrire spunti utili. Occorre comunque considerare che le recensioni negative tendono ad essere più numerose di quelle positive, poiché i clienti insoddisfatti sono generalmente più inclini a lasciare un commento.
4. Risorse e supporto
È opportuno verificare se l’avvocato opera in uno studio organizzato e dotato di personale e risorse sufficienti a supportarlo nella gestione del caso. Uno studio ben strutturato è in grado di affrontare con efficienza anche contenziosi complessi e articolati.
5. Costo
I costi legali possono variare significativamente. È importante ottenere un preventivo chiaro e dettagliato, che permetta all’imprenditore di comprendere la struttura dei compensi e valutare se l’onorario è anche commisurato al valore del contenzioso. Peraltro, il rilascio di un preventivo è obbligatorio per legge. Da non trascurare inoltre la necessità che il preventivo indichi la suddivisione dei compensi per i diversi gradi di giudizio (primo grado, appello, cassazione).
6. Comunicazione
La comunicazione tra l’azienda e l’avvocato deve essere chiara ed efficace. Un buon avvocato deve essere disponibile, rispondere tempestivamente alle domande e mantenere aggiornato il cliente sullo stato del contenzioso.
Altri suggerimenti utili per la selezione dell'avvocato
1. Verificare le credenziali
È essenziale assicurarsi che l’avvocato sia regolarmente iscritto all’albo professionale e che possieda le abilitazioni necessarie per esercitare la professione.
2. Considerare la strategia legale
Prima di conferire l’incarico, è utile chiedere all’avvocato di spiegare la strategia difensiva che intende adottare per il caso e valutare se questa è in linea con le aspettative e gli obiettivi dell’azienda. Consigliabile richiedere anche una breve nota scritta di ciò, per avere così una traccia della linea di azione concordata.
Conclusione
La scelta dell’avvocato giusto per il contenzioso aziendale richiede tempo e attenzione. Considerare criteri oggettivi come specializzazione, esperienza, reputazione, organizzazione dello studio, costi e qualità della comunicazione, insieme ai suggerimenti pratici, può aiutare le aziende a fare una scelta informata e strategica. Con il giusto avvocato al proprio fianco, le aziende possono affrontare le sfide legali con maggiore sicurezza e fiducia.
A cura di Egidio Veronesi
Le cause legali nella gestione di un'impresa: problemi e soluzioni
La gestione di un’impresa comporta numerose responsabilità, tra cui la capacità di affrontare e gestire numerosi rapporti e relazioni. Tali interazioni, a volte, possono sfociare in controversie con soggetti terzi o altri imprenditori e comportare l’instaurarsi di contenziosi legali.
In questo articolo intendo fornire, sulla base della mia esperienza, alcuni suggerimenti utili ad affrontare queste problematiche, con l’obiettivo di ridurre il più possibile i danni per la propria azienda. Le cause legali, infatti, rappresentano spesso un costo significativo e costituiscono fonte di incertezza, data l’imprevedibilità degli esiti giudiziari. A tal proposito, ricordo un aneddoto significativo: un mio cliente, dopo aver ascoltato un noto avvocato illustrare con entusiasmo le probabilità di successo di una causa, gli chiese: “Allora avvocato siamo in una botte di ferro?” L’avvocato rispose semplicemente: “Mai!”.
Tipologie di cause legali in ambito aziendale
I contenziosi legali che coinvolgono le imprese possono essere di varia natura, tra i più comuni troviamo:
- Cause per violazioni contrattuali: Le violazioni contrattuali sono tra le cause legali più frequenti. Possono derivare da disaccordi sulle clausole contrattuali o dalla mancata esecuzione degli obblighi previsti. Una gestione attenta dei contratti e una chiara definizione delle responsabilità possono aiutare a prevenire tali controversie.
- Contenziosi con lavoratori dipendenti: Le imprese possono affrontare cause legali da parte dei dipendenti per motivi quali licenziamenti ingiusti, discriminazione, molestie sul posto di lavoro e violazioni dei diritti dei lavoratori. È essenziale adottare politiche aziendali che promuovano l’uguaglianza e il rispetto, oltre a garantire una formazione adeguata ai dipendenti e ai dirigenti.
- Cause per responsabilità civile: Le imprese possono essere ritenute responsabili per danni causati a terzi, che possono includere lesioni fisiche, danni materiali o perdite economiche e finanziarie. È fondamentale che le imprese adottino misure di sicurezza adeguate e rispettino tutte le normative vigenti per ridurre il rischio di tali eventi.
- Cause per Violazioni della proprietà intellettuale: Le cause legali per violazione della proprietà intellettuale, come brevetti, marchi e copyright, sono particolarmente rilevanti per le imprese che operano in settori innovativi. Proteggere adeguatamente la proprietà intellettuale e rispettare i diritti altrui è cruciale per evitare costosi contenziosi.
- Recupero crediti: Sebbene non si tratti propriamente di una causa legale, occorre menzionare anche il ricorso ad un legale per il recupero forzoso dei crediti insoluti attraverso atti quali l’intimazione di pagamento, il precetto o il pignoramento.
Impatto delle cause legali sulla gestione aziendale
Le cause legali possono avere conseguenze significative per un’impresa, generando costi diretti elevati, quali ad esempio le spese legali, specialmente nel caso in cui il contenzioso si protragga per più gradi di giudizio. Oltre ai costi diretti, le imprese possono subire perdite finanziarie dovute a risarcimenti o sanzioni. Da non sottovalutare inoltre il rischio di essere condannati alle spese legali anche della controparte vittoriosa.
Strategie per mitigare il rischio legale
Per ridurre il rischio di cause legali, le imprese possono adottare diverse strategie:
- Consulenza legale preventiva: Avvalersi di consulenti legali esperti può aiutare a identificare e gestire i rischi legali prima che diventino problematici. La consulenza legale preventiva può includere la revisione dei contratti, la valutazione delle politiche aziendali e la formazione dei dipendenti.
- Valutazione dell’impatto di una causa: Prima di intraprendere un’azione legale, occorre effettuare una valutazione strategica complessiva. Uno degli errori più frequenti da parte degli imprenditori è agire d’istinto. Non è raro sentire frasi come: “Vado dall’avvocato e gliela faccio vedere io!”. Tuttavia, questa reazione istintiva può tradursi in anni di contenzioso, con spese legali rilevanti e notevoli disagi personali. Il primo passo dovrebbe consistere nel richiedere all’avvocato una valutazione in merito ai tempi e ai costi dei vari gradi di giudizio (fino alla Cassazione), oltre ad un parere (scritto) sul possibile esito della causa. Inoltre, non è da sottovalutare la solvibilità della controparte: promuovere una causa civile contro una persona senza beni o risorse personali potrebbe rivelarsi del tutto inutile. Inoltre, i costi complessivi e i rischi devono essere valutati considerando anche la capacità e la forza finanziaria della propria azienda. Per un piccolo imprenditore un contenzioso su tre gradi di giudizio può costare tranquillamente oltre 20 mila euro, cifra che può raddoppiare in caso di esito sfavorevole.
Conclusione
Prima di intraprendere un’azione legale, è sempre preferibile valutare la possibilità di raggiungere un accordo, che per quanto insoddisfacente possa apparire, risulta, nella maggior parte dei casi, più vantaggioso rispetto a un lungo e incerto contenzioso. Occorre ragionare “con la testa e non con la pancia”; in altre parole occorre valutare pro e contro e decidere quale sia la strada più utile e conveniente per la propria azienda lasciando da parte animosità e rancori personali.
A cura di Egidio Veronesi
Utilizzo dei Derivati per assicurare il rischio di aumento dei tassi sui finanziamenti bancari
L’aumento dei tassi d’interesse su un finanziamento (mutuo) a tasso variabile, può rappresentare un rischio significativo per l’azienda. Viceversa, una loro diminuzione può rappresentare un danno per l’azienda che ha investito una somma importante della propria liquidità in titoli.
Nel caso di finanziamenti a tasso variabile, il ricorso ad uno strumento finanziario, quale un derivato, può rappresentare un’opportunità per mitigare il rischio di oscillazione dei tassi.
In questo articolo vedremo come i derivati possono essere utilizzati in modo conveniente, illustrando i diversi tipi di derivati, i loro benefici, e le modalità di applicazione.
Che cosa sono i derivati?
I derivati sono strumenti finanziari, il cui valore dipende da quello di un’altra attività finanziaria o non finanziaria, come azioni, obbligazioni, tassi di interesse o valute (ma anche di altri elementi come potrebbe essere il prezzo di una merce). Il fattore variabile a cui fa riferimento il derivato viene definito “sottostante”.
Tipologie di derivati
I derivati si classificano in diverse categorie quali contratti futures, opzioni, swaps e forward.
- Futures: contratti che obbligano le parti a comprare o vendere un’attività a una data futura e a un prezzo predeterminato (ad esempio devo pagare in dollari una somma fra 3 mesi, faccio un contratto per acquisire una somma a quella scadenza, ancorandola al cambio del dollaro).
- Opzioni: contratti che danno al possessore il diritto, ma non l’obbligo, di comprare o vendere un’attività a un prezzo predeterminato entro una certa data.
- Swaps: contratti in cui due parti si scambiano flussi di cassa basati su variabili finanziarie, come tassi di interesse. Questo è lo strumento derivato più utilizzato per coprire i rischi sui finanziamenti.
- Forward: contratti simili ai futures, ma negoziati privatamente e non su un mercato regolamentato.
In sintesi, i derivati sono contratti che permettono, dietro pagamento di una commissione, di poter acquistare o vendere attività finanziarie (titoli, valute estere ecc.) a determinate condizioni. Sono una specie di scommessa sull’andamento delle quotazioni di un determinato titolo, bene o cambio.
Come assicurare il rischio di aumento dei tassi sui finanziamenti bancari
L’utilizzo dei derivati per assicurare il rischio di aumento dei tassi d’interesse sui finanziamenti bancari è una pratica utile che permette all’azienda di stabilizzare il costo per il rimborso delle rate di un finanziamento. Vediamo, di seguito, il derivato più comunemente utilizzato dalle aziende.
Swaps sui tassi di interesse
Uno dei derivati più utilizzati per coprire il rischio di aumento dei tassi di interesse sono gli swaps sui tassi di interesse. Con questo contratto il cliente si garantisce i flussi di cassa necessari per il rimborso, alle scadenze previste, delle rate del finanziamento a condizioni prefissate, eliminando così il rischio derivante dalla variabilità degli interessi. Il contratto di swap permette di scambiare flussi di cassa a tasso variabile con flussi di cassa a tasso fisso. Ad esempio, se un’azienda ha sottoscritto un finanziamento a tasso variabile e vorrebbe passare a un tasso fisso senza modificare il contratto di mutuo con la banca, potrebbe acquistare flussi di cassa futuri a tasso fisso (che saranno pagati alla Banca, ovvero in uscita) con flussi di cassa a tasso variabile (pari a quello del mutuo contratto) che verranno messi a disposizione per pagare le rate in scadenza.
Come utilizzare efficacemente i derivati
Per utilizzare efficacemente i contratti derivati nella gestione del rischio del tasso variabile, un’azienda deve seguire alcuni passaggi chiave:
- Valutazione del rischio : L’azienda deve valutare il rischio a cui è esposta, considerando l’importo del mutuo, la sua durata e le previsioni sui tassi di interesse (che abbiamo visto in un precedente articolo).
- Scelta dello strumento derivato: Basandosi sulla valutazione del rischio, l’azienda sceglierà il tipo di derivato più adatto alle proprie esigenze, che sia uno swap, un future o un’opzione.
- Monitoraggio: Dopo la stipula del contratto derivato, l’azienda deve monitorare costantemente l’operazione e aggiustare le proprie strategie di copertura in base ai cambiamenti nel mercato dei tassi di interesse. Può essere vantaggioso, ad esempio, uscire dal contratto per farne un altro, oppure non rientrarvi se i rischi, sulla base di previsioni ragionate, si sono sensibilmente ridotti.
Conclusione
Utilizzare contratti derivati per coprire il rischio di tasso variabile su un mutuo è una pratica efficace che può aiutare un’azienda a stabilizzare gli oneri finanziari, consentendo maggiori certezze alla programmazione del proprio business.
A cura di Egidio Veronesi
Assicurazione del tasso di interesse su un finanziamento
Quando l’imprenditore richiede un finanziamento a una banca sotto forma di mutuo, si presenta la scelta fondamentale tra tasso fisso e variabile. Nel precedente articolo abbiamo visto come orientarsi per la scelta del tasso; ora ci concentreremo sul tasso variabile.
Optando per il tasso variabile, l’impresa si espone al rischio di futuri aumenti dei tassi; tuttavia, in tali casi è possibile adottare misure di protezione, come l’assicurazione del tasso di interesse, che consente di assicurare il tasso contro rialzi eccessivi, pagando un premio alla banca.
Funzionamento dell’assicurazione del tasso di interesse
Nel contratto di assicurazione del tasso viene stabilito un tetto massimo (cap) e quando il tasso supera questo limite l’assicurazione interviene a sostenerne il costo. Chiaramente più il “cap” si discosta dal tasso di mercato, rilevato nel momento in cui viene stipulata l’assicurazione, minore sarà il premio da pagare.
Allo stesso modo potrà essere stabilito un tasso minimo (floor); se il tasso variabile scenderà sotto questo limite allora l’impresa dovrà pagare all’assicurazione la differenza tra il tasso effettivo e il floor stabilito.
Il costo del premio assicurativo dipende quindi dal livello dei tassi cap e floor ed anche dalla durata dell’assicurazione. Infatti, con il metodo di ammortamento “alla francese” del mutuo (a rate costanti), nei primi anni gli interessi compresi nella rata saranno molto alti e quindi maggiore sarà il rischio. Ad esempio, su un finanziamento di 10 anni potrebbe risultare conveniente assicurare i primi 5 anni e poi sostenere il rischio negli anni rimanenti, essendo la quota interessi compresa nella rata via via sempre in diminuzione.
Perché stipulare un’assicurazione del tasso di interesse?
L‘assicurazione del tasso di interesse su un finanziamento è una misura che consente all’impresa di proteggersi contro le fluttuazioni dei tassi di interesse. In un contesto economico in cui i tassi possono variare significativamente e imprevedibilmente, questa forma di assicurazione offre stabilità e certezza. Si tratta, in sostanza, di una strategia finanziaria finalizzata a limitare l’esposizione ai rischi derivanti dalle variazioni dei tassi di interesse, mediante la stipula di un apposito contratto con una banca o un’altra istituzione finanziaria.
Nel caso in cui l’imprenditore opti per un finanziamento a tasso variabile e il rischio di rialzo dei tassi risulti rilevante in relazione all’importanza dell’operazione, risulta opportuno stipulare un’assicurazione per garantire che il tasso di interesse non superi un determinato limite massimo. Qualora il tasso di interesse di mercato superi questo limite, l’assicurazione interverrà per coprire la differenza.
I vantaggi dell'assicurazione del tasso di interesse
L’assicurazione del tasso di interesse offre numerosi vantaggi all’impresa, tra cui:
- Stabilità finanziaria: protegge contro le fluttuazioni impreviste dei tassi di interesse, permettendo una pianificazione finanziaria più accurata.
- Protezione contro l’aumento dei tassi: con un contratto cap, l’impresa è protetta da aumenti eccessivi dei tassi di interesse che potrebbero rendere il finanziamento insostenibile.
- Flessibilità: permette di adattare il finanziamento alle condizioni di mercato e alle esigenze specifiche dell’imprenditore.
Considerazioni finali
L’assicurazione del tasso di interesse è uno strumento utile per chiunque desideri proteggersi dalle incertezze del mercato finanziario. È comunque importante valutare sempre, attentamente e accuratamente, le proprie esigenze e le condizioni di mercato prima di stipulare un contratto di assicurazione del tasso di interesse. Tale contratto, infatti, può presentare costi anche molto elevati!
A cura di Egidio Veronesi
La gestione di un contratto di finanziamento: le clausole contrattuali
La sottoscrizione di un contratto di finanziamento con una banca comporta obblighi reciproci tra le parti. La banca si impegna a rispettare le condizioni contrattuali per tutta la durata dell’accordo; tuttavia, anche il cliente è vincolato a tali condizioni.
È pertanto fondamentale prestare particolare attenzione a specifiche clausole contrattuali, soprattutto quelle relative all’estinzione anticipata del prestito e quelle relative alla facoltà della banca di richiedere il rimborso immediato.
La clausola di estinzione anticipata del finanziamento
L’estinzione anticipata di un finanziamento bancario rappresenta un’opzione che permette al debitore di saldare il proprio debito prima della scadenza stabilita nel contratto. Tale opzione può offrire vantaggi significativi come la riduzione degli interessi complessivi da pagare, ma può comportare l’applicazione di una penale.
Le principali ragioni per cui un’azienda può decidere di estinguere anticipatamente un prestito possono essere:
- Liquidità improvvisa: un’entrata finanziaria per un disinvestimento (ad esempio la vendita di un immobile o di una partecipazione o un’ottima performance economica) può permettere di estinguere il prestito.
- Riorganizzazione finanziaria: consolidare debiti o fare una ristrutturazione (accorpando alcuni finanziamenti in un unico mutuo), allungare il prestito per ridurre le rate ecc.
- Sostituire un finanziamento con uno più vantaggioso: ciò può accadere ad esempio per passare da un tasso fisso a uno variabile o viceversa, oppure perché l’azienda ha migliorato notevolmente il proprio rating e quindi può ottenere, dal sistema bancario, condizioni più vantaggiose.
Nel contratto di finanziamento è solitamente prevista l’applicazione di una penale in caso di estinzione anticipata. La possibilità di negoziare una riduzione di tale penale con la banca risulta molto difficile, in particolare quando l’estinzione è finalizzata all’ apertura di un nuovo finanziamento presso un altro istituto di credito. In passato, ho visto nei contratti di finanziamento penali anche del 3%, tuttavia oggi non possono superare l’1%. È fondamentale effettuare un’attenta valutazione: il costo della penale in caso di sostituzione del finanziamento con un altro deve essere confrontato con il risparmio sugli interessi futuri. In tale valutazione occorre considerare anche eventuali ulteriori variabili, quali ad esempio l’estensione della durata del piano di rimborso.
Tipologie di penali per estinzione anticipata
Le penali per estinzione anticipata possono assumere diverse forme:
- Penale fissa: un importo predefinito da pagare in caso di estinzione anticipata.
- Penale percentuale: una percentuale sul capitale residuo o sull’importo originario del prestito.
- Penale variabile: calcolata in base al tempo rimanente alla scadenza del prestito.
In Italia, la normativa che regola le penali per estinzione anticipata è stata modificata negli ultimi anni per tutelare maggiormente i consumatori. La legge prevede limiti alle penali che possono essere applicate, specialmente per prestiti ipotecari e mutui:
- Mutui a tasso fisso: la penale non può superare l’1% del capitale residuo.
- Mutui a tasso variabile: la penale è stata abolita.
- Prestiti personali: le penali possono variare, ma devono essere chiaramente specificate nel contratto.
Sono inoltre previste esenzioni da penali per i mutui contratti da soggetti privati come ad esempio quelli relativi all’acquisto della prima casa.
Prima di procedere all’estinzione anticipata di un finanziamento, al fine di evitare l’applicazione della penale, è sempre opportuno trattare con la banca con la quale si ha in essere il finanziamento, proponendo ad essa di passare dal tasso fisso al variabile o viceversa o chiedendo ad esempio l’allungamento del piano di ammortamento. Rinegoziare è sempre possibile e le possibilità di riuscita dipendono molto dalla forza contrattuale dell’impresa. Tuttavia, va considerato che, oggigiorno le banche sono organizzazioni sempre più grandi, con poteri decisionali centralizzati e spersonalizzate per cui spesso la trattativa è ostica e poco agevole.
La clausola di rimborso anticipato su iniziativa della Banca
Un altro aspetto da considerare quando si firma un contratto di finanziamento riguarda le clausole relative alla facoltà della banca di richiedere anticipatamente il rimborso integrale del prestito in caso ad esempio di vendita dell’azienda, di ingresso in società di nuovi soci o di cessione della maggioranza delle quote sociali.
Se è in previsione una di queste operazioni va considerato il rischio potenziale di estinzione anticipata di tutto il finanziamento con i relativi grossi rischi per l’azienda.
Come è possibile, dunque, tutelarsi in sede di firma di un contratto di finanziamento, spesso rappresentato da numerosi fogli scritti con caratteri microscopici?
È consigliabile chiedere che nel contratto vengano inserite opportune deroghe e precisazioni, che prevedano ad esempio la possibilità di estinzione anticipata del finanziamento dopo un numero di anni, con riduzione in tal caso della penale al minimo, se non l’azzeramento della stessa.
Relativamente alla facoltà della banca di restituzione integrale del finanziamento in caso di trasferimento dell’azienda è possibile chiedere che vengano circoscritte meglio le varie ipotesi di rimborso anticipato: ad esempio con indicazione secondo cui il rimborso anticipato è condizionato all’assenza di garanzie idonee da parte dei nuovi soci o acquirenti (nel caso di cessione della maggioranza delle quote o azioni). In ogni caso, qualora questa clausola sia presente, prima di fare una cessione di quote o di azienda è meglio informare la banca e chiedere come si comporterà.
Altra possibilità di definire alcune condizioni contrattuali può essere quella di farsi rilasciare una “side letter” ovvero un documento dove la banca andrà a precisare che in caso si verifichi un determinato evento (estinzione anticipata o altro) verranno applicate determinate condizioni di favore.
Tutto quanto indicato sopra vale sia per i contratti di mutuo sia per i contratti di leasing. Quest’ultimi spesso prevedono, in caso di cessione dell’azienda o della maggioranza delle quote sociali, l’obbligo di pagare tutte le rate ancora da scadere compresi gli interessi!
Nel prossimo articolo parleremo di come ridurre il rischio di aumento dei tassi variabili con assicurazioni o ricorrendo ai derivati.
A cura di Egidio Veronesi
La scelta tra tasso fisso e variabile quando si fa un finanziamento
Quando si tratta di stipulare un contratto di finanziamento, la scelta tra un tasso di interesse fisso e uno variabile è fondamentale. Entrambe le tipologie hanno i loro vantaggi e svantaggi ed è importante considerare una serie di fattori prima di prendere una decisione.
Di seguito analizziamo le sostanziali differenze tra le due tipologie di tassi.
Tasso Fisso
Il tasso fisso offre una stabilità che può essere estremamente rassicurante per chi cerca certezza nei propri pagamenti. Con un tasso fisso:
- il tasso di interesse rimane invariato per tutta la durata del prestito.
- i pagamenti mensili sono prevedibili e costanti, facilitando la gestione del budget.
- non si è esposti alle fluttuazioni del mercato.
Tuttavia, il tasso fisso può avere un tasso di interesse iniziale più elevato rispetto al variabile, poiché incorpora una sorta di assicurazione contro eventuali aumenti futuri dei tassi.
Tasso Variabile
Il tasso variabile, d’altra parte, può offrire un tasso di interesse più basso iniziale, ma comporta una maggiore incertezza. Con un tasso variabile:
- il tasso di interesse può cambiare periodicamente, in base alle condizioni del mercato.
- i pagamenti mensili possono variare, rendendo la gestione del budget più complicata.
- si potrebbe beneficiare di un tasso di interesse più basso se i tassi di mercato diminuiscono.
Fattori da considerare nella scelta del tasso
Per scegliere tra un tasso fisso e un tasso variabile, è importante considerare:
- la propria tolleranza al rischio: se si preferisce la stabilità e prevedibilità dei pagamenti, un tasso fisso potrebbe essere la scelta migliore. Se si è disposti a correre il rischio di potenziali aumenti dei tassi di interesse in cambio di un possibile risparmio, il tasso variabile potrebbe essere più adatto.
- le condizioni economiche generali: in un periodo di tassi di interesse relativamente bassi, potrebbe essere vantaggioso bloccare un tasso fisso. Al contrario, se i tassi di interesse sono alti ma si prevede una diminuzione, un tasso variabile potrebbe risultare più conveniente.
- la durata del prestito: per finanziamenti a lungo termine, la stabilità di un tasso fisso può offrire maggiore sicurezza; per finanziamenti a breve termine, un tasso variabile potrebbe offrire risparmi significativi.
- la situazione finanziaria dell’impresa: è fondamentale valutare se in caso di aumento sensibile dei tassi (e quindi della rata), l’azienda è in grado si sostenerne il relativo onere.
Suggerimenti pratici
Se si considera l’importo del finanziamento: più è elevato l’importo, maggiore dovrebbe essere la propensione per un tasso fisso. Lo stesso principio vale per la durata: più è lunga la durata e maggiori potrebbero essere le incognite e quindi più alta dovrebbe essere la propensione per un tasso fisso.
Chi desidera fare una scelta più consapevole e ragionata, può consultare le previsioni sui tassi, pubblicate ogni giorno dai quotidiani economici. Di seguito, ad esempio, la tabella delle previsioni del Sole 24 ore sui rendimenti e sui tassi.

Consultando la suddetta tabella è possibile fare le seguenti considerazioni: se il proprio finanziamento ha una durata di 5 anni le previsioni sui tassi sono in discesa, il tasso variabile potrebbe risultare quindi più conveniente. Se il proprio finanziamento ha una durata di 20 anni, il tasso Italia è in salita al 3,915 e quindi si potrebbe valutare un tasso fisso. Tuttavia, il tasso nei prossimi 3 anni è in diminuzione: con il variabile si avrebbe la possibilità di risparmiare e compensare il maggior costo del denaro finale.
Inoltre occorre valutare la struttura del piano di ammortamento: in caso di finanziamento con rimborso a rate costanti (ammortamento alla francese),si pagano molti interessi nei primi anni e pochi negli ultimi e quindi si potrebbe comunque avere interesse (consultando la tabella) a scegliere un tasso variabile.
In ogni caso, in base all’attuale situazione economica caratterizzata da forte instabilità dovuta a guerre, dazi, epidemie e stravolgimenti politici, le previsioni sui tassi possono risultare poco affidabili. Nella mia lunga esperienza le ho sempre consultate e posso affermare che le attese sui tassi possono cambiare anche molto velocemente e in misura sensibile da un mese all’altro.
Conclusioni
Scegliere tra un tasso fisso e uno variabile in un contratto di finanziamento richiede una valutazione attenta dei propri obiettivi finanziari, della tolleranza al rischio e delle condizioni economiche.
La scelta può comunque essere cambiata in corso d’opera, in base alle opzioni contrattuali del proprio contratto di finanziamento o ricorrendo ad altre soluzioni. Ne parleremo nell’articolo della prossima settimana con suggerimenti di carattere pratico.
A cura di Egidio Veronesi