Elisa Ghelfi laureata in economia presso l’Università di Modena, iscritta all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Modena e al Registro dei Revisori Legali. Da poco hai conseguito l’attestato per l’iscrizione negli elenchi dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita.

A tal proposito, come riuscire a conciliare lavoro e formazione continua?

Il nostro lavoro è caratterizzato dalla mancanza di tempo dovuto principalmente al susseguirsi incalzante di scadenze sempre più fitte, è pertanto innegabile la difficoltà di conciliazione tra rispetto delle tempistiche imposte dall’agenzia delle entrate e necessità di formarsi ed aggiornarsi.

La formazione continua, oltre che ad essere un obbligo imposto dall’albo di appartenenza, deve essere una priorità per il professionista che crede nella qualità della consulenza offerta, orientando la stessa verso le proprie passioni e i propri interessi senza voler peccare di tuttologia.

Ciò è possibile solo se si è in grado di metter ordine e dare la giusta importanza alle cose, sapersi organizzare e lavorare non per emergenze (senza però inficiare sulla capacità di saper reagire all’imprevisto), dedicando il tempo necessario alla formazione.

Diversi sono gli studenti che ogni anno si iscrivono alla facoltà di economia, pochi però quelli che decidono di intraprendere una carriera all’interno di uno studio di commercialisti.

Colpa di una narrazione sbagliata della professione o incapacità degli studi di rendersi attrattivi ai nuovi talenti?

Entrambi in concomitanza e legati tra loro.

Da un lato viviamo in un’epoca in cui sempre più spesso la politica così come l’opinione pubblica (non da ultimi i social network ma anche tv, giornali) demonizzano il fisco e la nostra professione in una narrazione stereotipata, sterile ed errata che vede il primo ladro e il secondo complice.

Dall’altra l’incapacità di tanti colleghi di stare al passo con l’innovazione e la trasformazione della nostra professione, rimanendo legati al passato e al concetto di commercialista come di colui che “fa pagare le tasse”.

Il commercialista invece sarà sempre meno ragioniere e sempre più consulente. Il commercialista è colui che nel sedile a fianco dell’imprenditore consiglia, guida e corregge.

Ciò che troppo spesso non viene messo in risalto è l’enorme potenziale di questa professione sia in termini di grandissima soddisfazione personale per chi lo svolge che in termini di beneficio sociale per l’intera comunità.

Come vedi il futuro degli Studi di commercialisti e come possono rendersi attrattivi alle nuove generazioni?

Innovando, insegnando, coinvolgendo il più possibile.

L’unico modo per attrarre è mostrare cosa è realmente la nostra attività, utilizzando mezzi innovativi di facile utilizzo da parte delle giovani generazioni, non aver paura di trasmettere il proprio sapere così da poter far entrare appieno il giovane nel vortice della professione.

A proposito di futuro, al meeting estivo di M&W, che si è tenuto lo scorso 25 luglio, si è parlato di futuro, di cambiamento e di intelligenza artificiale. A tuo avviso, che impatto avrà l’intelligenza artificiale all’interno degli studi professionali?

Sarà il futuro e non potrà che arricchire la nostra professione.

M&W ormai da diversi anni ha capito che per competere nel mercato di riferimento è necessario aggregarsi, “unire le forze” pur continuando ad offrire un servizio di qualità e mantenendo un rapporto diretto con il cliente.

A tal proposito, quali sono a tuo avviso gli altri punti di forza che permettono allo Studio di continuare ad essere uno dei “principali attori” nel mercato di riferimento?

M&W rappresenta a mio avviso lo studio professionale del futuro incorporando innovazione, qualità del servizio e prestigio mantenendo l’umiltà, nobiltà d’animo ed etica professionale. Il clima di rispetto, disponibilità, fiducia che si respira tra collaboratori e con i clienti ne completano il profilo vincente.

Intervista a cura di Rebecca Molinari