La mia azienda guadagna abbastanza?
Uno dei tanti problemi che possono condure alla crisi di un’impresa è la ridotta (o purtroppo a volte negativa) marginalità della propria azienda. Se non si margina non si coprono i costi fissi aziendali e quindi ci sarà una perdita e la perdita significherà maggiori debiti e di conseguenza la crisi finanziaria.
Ma che cos’è la marginalità (talvolta chiamata anche “margine di contribuzione”)?
È la differenza tra i ricavi dell’azienda e i costi che sostengo per generare i ricavi.
Nel caso più semplice di azienda, quella commerciale, la marginalità sarà data dal ricavo della merce meno il costo sostenuto per l’acquisto. La semplice formula che viene insegnata alle elementari:
RICAVO – COSTO = GUADAGNO
Nelle aziende di produzione il discorso è più complesso, perché il costo dei beni venduti a volte comprende materie prime, lavorazioni, materiali di consumo ecc. Però la marginalità si ottiene sempre sottraendo dai ricavi la somma dei costi diretti sostenuti. I costi diretti sono quelli che variano al variare della produzione. In linea generale sono i cosiddetti “costi variabili”. Se non produco nulla non ho alcun costo.
La marginalità complessiva dell’azienda serve per coprire i costi fissi (affitto, personale, assicurazioni ecc.). I costi fissi sono quei costi che sostengo e non variano anche se non produco nulla. I costi fissi ci sono sempre e non cambiano all’aumentare della produzione.
Abbiamo ripassato con estrema sintesi e semplificazione i concetti di base del conto economico di una azienda che rappresentiamo nel prospetto che segue:
R |
RICAVI |
650.000 |
CV |
COSTI VARIABILI |
392.000 |
MDC = R-CV |
MARGINE DI CONTRIBUZIONE |
258.000 |
CF |
COSTI FISSI |
205.000 |
MDC – CF |
UTILE |
53.000 |
E adesso entriamo nel cuore della domanda: posto che il conto economico sia quello rappresentato sopra:
la mia azienda guadagna abbastanza?
Come fatto negli articoli precedenti dobbiamo fare alcune considerazioni:
Quale è il nostro mercato di riferimento? Ovvero: operiamo in un mercato saturo oppure in un nuovo mercato? In linea generale in un mercato “nuovo” relativo a prodotti innovativi o lanciati da poco è facile trovare marginalità più elevate rispetto a un mercato “saturo”. Poi anche il mercato nuovo prima o poi comincerà a essere invaso da nuovi operatori che intravedono il business e mano a mano diventerà saturo.
In generale, un mercato “nuovo” tenderà ad avere marginalità più elevate dovute al fattore “novità”. In un mercato saturo invece la concorrenza tenderà a remunerare a livelli più bassi gli investimento fatti in mezzi finanziari e risorse umane.
Nel mercato saturo vincerà l’imprenditore più efficiente e saranno estromessi gli imprenditori meno efficienti. Fattori decisivi non saranno tanto l’innovazione, ma piuttosto la dimensione e quindi le economie di scala e principalmente l’efficienza.
La seconda cosa che dovremo valutare sarà la performance dei nostri competitor.
Prendiamo, quindi, i bilanci dei nostri competitor (se siamo bravi imprenditori dovremo essere curiosi e sapere esattamente chi sono i nostri competitor e cosa marginano). Si possono scaricare tutti i bilanci delle S.r.l. al costo di 1 euro e mezzo l’uno circa.
Con un piccolo investimento possiamo scaricare una decina di bilanci e cominciare a esaminarli. Nel bilancio pubblicato basterà prendere la differenza tra valore e costi della produzione (voci A-B) e fare il rapporto con la voce A (i ricavi) e otterremo una dato che esprime l’efficienza dell’azienda. In realtà nella voce B (costi) sono compresi sia i costi fissi che i costi variabili, ma il dato ottenuto, anche se grossolano, comparato con quello della nostra azienda, ci farà capire se gli altri sono più o meno bravi di noi.
Con un po’ di esperienza, leggendo bene il bilancio e la nota integrativa, si può arrivare anche a calcolare la marginalità e quelli che sono i costi variabili. E il confronto sarà ancora più chiaro.
Dopo il confronto con i competitor
Se vediamo che gli altri sono mediamente più bravi allora dovremo capire cosa possiamo fare per migliorare. Se i competitor più bravi sono pochi dobbiamo comunque puntare all’eccellenza e cercare di superarli!
Ogni buon imprenditore che si rispetti ogni giorno deve cercare il modo di essere avanti agli altri, consapevole che i suoi concorrenti non staranno fermi e quindi se li ritroverà sempre “tra i piedi”.
A cura di Egidio Veronesi
Come capire se l'azienda è molto indebitata
Nell’azienda il capitale investito lo troviamo nell’attivo dello stato patrimoniale ed è costituito da:
- Immobilizzazioni materiali (fabbricati, attrezzature, automezzi ecc.) e immobilizzazioni immateriali (marchi, brevetti ecc.);
- Capitale circolate (quindi non immobilizzato) rappresentato da magazzino e crediti.
Anche il capitale circolante necessita di essere finanziato perché, di fatto, finché non saranno vendute le scorte e incassati i crediti, saremo in presenza di capitale “congelato” anche se per un breve periodo di tempo. Pertanto, servono mezzi finanziari sia per comprare i beni strumentali, ma anche per finanziare il magazzino e i crediti verso clienti.
L’attivo dell’azienda (immobilizzato + circolante) viene anche definito con il termine “impieghi” che sta a significare come il capitale è stato impiegato o investito. I mezzi finanziari da investire negli “impieghi” vengono definite “fonti di finanziamento”.
Per coprire tutti gli impieghi si fa ricorso all’indebitamento che viene definito anche con il termine “mezzi di terzi”.
Che cosa rientra nei mezzi terzi?
Fanno parte dei mezzi di terzi i debiti verso le banche (conti correnti, mutui ecc.) ma anche i debiti verso i fornitori che ci concedono credito accordando dilazioni di pagamento (i classici 30, 60, 90 giorni ecc.). Sono fonti di finanziamento anche i debiti verso lo stato che ci concede di fatto “credito” con tempi di pagamento dilazionati per imposte già dovute perché maturate, oppure ci fa rateizzi di cartelle esattoriali ecc. Stessa cosa dicasi per i debiti verso gli enti previdenziali (INPS, INAIL ecc.).
Prendiamo ora un semplice esempio di situazione patrimoniale e poniamoci la domanda: l’azienda è molto o poco indebitata?
Per rispondere alla domanda dovremmo prima capire se il capitale di rischio messo dall’imprenditore è adeguato all’attivo investito. Prendiamo il valore del patrimonio netto che è pari a 400 e calcoliamo un semplice indicatore dato dal rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi.
Con un passivo di 800 e mezzi propri di 400 (per un totale di “fonti” pari a 1.200 = totale avere) risulta il seguente rapporto:
MEZZI PROPRI: MEZZI DI TERZI -> 400/800 = 0,50
È buono o cattivo questo indicatore?
La risposta è sempre “dipende”.
Per rispondere dovremmo capire quanto ci costa l’indebitamento. Ad esempio, quanti interessi maturano i finanziamenti bancari? E quanto ci costa avere una lunga dilazione dai fornitori? Se pagassimo “a vista fattura” probabilmente otterremmo uno sconto.
Al di là di tutte le domande che possiamo porci, la risposta più corretta alla domanda iniziale, e cioè se l’azienda è poco o molto indebitata, è la seguente:
l’azienda non è molto indebitata se è in grado di mantenere i propri impegni di pagamento con regolarità (e con una certa scorta di sicurezza) senza creare problemi alla tesoreria aziendale e allo stesso tempo gli oneri finanziari devono essere in media con quelli sostenuti dai nostri competitor e in genere dalle aziende della stessa tipologia della nostra. Basta estrarre i loro bilanci e fare due conti.
Dobbiamo quindi sempre avere riguardo della tipologia di azienda e fare un confronto con i dati di bilancio dei competitor per avere una buona indicazione del corretto grado di indebitamento.
Un rapporto mezzi propri su mezzi di terzi pari a 0,20 (per ogni euro messo dal titolare ne prendiamo 5 a prestito) può nel caso di un’impresa commerciale essere corretto. Altre volte invece questo indicatore è ottimale se si avvicina a 0,40 o 0,50.
A cura di Egidio Veronesi
Il grado di copertura delle immobilizzazioni
Uno dei tanti dubbi e domande che si pone l’imprenditore è il seguente:
la mia azienda dal punto di vista patrimoniale è in equilibrio? O corro dei rischi?
Per dare una risposta potremmo calcolare un semplice indicatore da applicare alla situazione patrimoniale: l’indice di copertura del capitale immobilizzato.
Prendiamo l’esempio della settimana scorsa.
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Esaminiamo l’attivo (la parte di sinistra) e dividiamo le singole voci in due macro categorie:
- Attivo Immobilizzato (fabbricati + macchinari + attrezzature)
- Attivo Circolante (magazzino + crediti + banca e cassa)
L’attivo immobilizzato è rappresentato da beni che sono destinati a rimanere “durevolmente”, cioè per un lungo periodo di tempo, nell’azienda. Sono i beni che partecipano al processo produttivo per diversi anni cedendo la loro utilità nel periodo della loro vita utile. I macchinari, ad esempio, se hanno una durata di dieci anni, parteciperanno alla produttività aziendale per un lungo periodo di tempo, per poi essere dismessi quando saranno completamente obsoleti o deteriorati.
È chiaro che il capitale necessario alla loro acquisizione dovrà essere disponibile per un lungo periodo di tempo. Ad esempio, se acquisto un macchinario del costo di 100 mila euro con una vita utile di 10 anni, dovrei finanziarne l’acquisto con un mutuo di pari durata, in modo che la redditività del macchinario stesso, nel corso degli anni, generi marginalità destinata a rimborsare le rate del finanziamento. L’alternativa sarebbe di finanziare l’acquisto dei macchinari (così come di tutti i beni durevoli) con capitale proprio, cioè messo dall’imprenditore, per il quale non c’è obbligo di restituzione.
Prima considerazione
Quindi la prima considerazione da fare è la seguente: tutto il capitale immobilizzato deve essere finanziato con capitale dell’imprenditore e/o con finanziamenti a medio/lungo termine. Con quest’ultima definizione si identificano i finanziamenti con durata oltre i 5 anni e fino a 10 anni, salvo casi particolari in cui la durata può essere anche più lunga.
Sommiamo i valori tra di loro
Se la somma del capitale immobilizzato nel nostro stato patrimoniale pari a 550 (fabbricati + macchinari + attrezzature) è minore della somma dei finanziamenti a medio/lungo termine (mutuo di euro 200) + patrimonio netto (capitale + utile = 280) avremmo una totale copertura degli investimenti. Purtroppo, nel nostro esempio, il capitale immobilizzato di 550 è superiore alla somma di mutui e patrimonio netto, pari a 480 mila euro, quindi non abbiamo un indicatore ottimale.
Mettiamo ora a rapporto i mezzi propri (patrimonio netto) + mutui al numeratore, con gli investimenti immobilizzati al denominatore e avremo:
480/550 = 0,87
che sta a significare che gli investimenti durevoli non sono coperti per intero. Il rapporto ottimale dovrebbe essere sempre maggiore di 1 (uno).
Cosa comporta la mancata copertura delle immobilizzazioni
La mancata copertura potrebbe portare a eventuali rischi. Se ad esempio acquistiamo un macchinario finanziandolo con una scopertura di c/c (il classico fido) che non ha scadenza, ma è semplicemente a revoca, corriamo il rischio che la banca ci chieda il rientro dopo poco tempo, quando ancora non siamo riusciti, grazie all’utilizzo del macchinario, a generare abbastanza liquidità (e ad accantonarla) per rimborsare il prestito.
Quindi i finanziamenti, in linea teorica, per essere ottimali dovrebbero essere restituiti in un periodo di tempo pari alla vita utile del bene finanziato.
Di cosa parleremo la prossima volta
Nel prossimo articolo parleremo del rapporto tra mezzi propri (patrimonio netto) e mezzi di terzi (somma di tutti i debiti) per rispondere alla domanda:
la mia azienda è molto o poco indebitata?
A cura di Egidio Veronesi
Indicatori negli assetti organizzativi: indicatore di disponibilità
Una piena consapevolezza della situazione della propria impresa e del contesto in cui opera da una parte e la capacità dell’imprenditore di interpretare i segnali che fanno “intuire” dove sta andando il mercato (ma anche i propri concorrenti) dall’altra, sono alla base del successo di ogni buon imprenditore.
Come già più volte ribadito nei precedenti articoli di questa rubrica, il saper lavorare e far funzionare la propria azienda e saper trattare con i clienti sono doti che da sole non bastano. L’imprenditore, come diceva la canzone di Morandi, deve “dare di più”. Deve saper guidare la propria impresa e capire dove sta andando.
Dopo aver visto la settimana scorsa come si calcola e si tiene monitorata la durata media dei crediti, vediamo questa settimana un altro importante, ma anche semplice, indicatore patrimoniale: l’indicatore di disponibilità.
Cos'è l'indicatore di disponibilità
Partiamo da una situazione patrimoniale molto semplice:
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Andiamo a individuare quali sono le voci patrimoniali “correnti”, ovvero gli elementi patrimoniali che possono essere realizzati a breve termine:
- il magazzino perché posso vendere le merci e realizzarle;
- i crediti commerciali che andrò a incassare;
- il denaro in banca e in cassa che è sempre disponibile.
Facciamo la somma dei tre valori:
Magazzino 250 + crediti commerciali 200 + banca e cassa 100 = 550
Individuo quindi le passività “correnti” ovvero i debiti da pagare a breve termine:
Debiti verso fornitori 480 + debiti fiscali e previdenziali 40 = 520
Metto a rapporto le due grandezze, ovvero divido le attività correnti per le passività correnti:
550: 520 = 1,058
Questo valore (1,058) viene definito “indice di disponibilità” ed esprime la capacità dell’azienda di far fronte ai debiti correnti con le disponibilità correnti.
Secondo la prassi aziendale questo indicatore deve essere maggiore di 1. Se è minore significa che l’azienda è squilibrata. In parole povere se dovesse fermarsi, vendere le merci in magazzino e riscuotere i crediti, non riuscirebbe a pagare tutti i debiti!
I miei suggerimenti per te
- 1. Per prima cosa questo dato, oltre al suo valore assoluto (maggiore o minore di 1), deve essere monitorato nel tempo (almeno ogni 3 mesi) per capire se l’azienda migliora o peggiora la sua posizione finanziaria.
Qualcuno obietterà che il magazzino, così come i crediti, devono essere depurati da eventuali componenti non realizzabili come i beni obsoleti e i crediti inesigibili. Questo è vero e in effetti andrebbero sempre fatte le rettifiche in contabilità per mantenere i valori contabili aderenti alla realtà. Tuttavia, se diamo peso e valore all’andamento dell’indicatore nel tempo, i valori del magazzino invenduto e dei crediti deteriorati non si discosteranno di molto da un trimestre all’altro, salvo eventi di carattere straordinario.
La semplificazione proposta consentirà di avere il dato immediatamente ed evitare di avere lunghi tempi di analisi ed elaborazione. Meglio un dato grezzo che un dato “vecchio” o nessun dato (perché manca sempre il tempo…..).
- 2. Una seconda questione riguarda la situazione contabile della società, la cui stampa è molto più articolata e complessa del prospetto sintetico proposto sopra. Quando l’imprenditore chiede in amministrazione la stampa di un bilancio si trova davanti una moltitudine di fogli che sul momento lo spiazzano. La riclassificazione e la sintesi dei dati in un prospetto come quello proposto sopra (o con ben poche aggiunte) può essere fatta agevolmente dall’impiegata amministrativa in pochi minuti.
Riassumendo
L’indicatore visto oggi, margine di disponibilità, con l’indicatore visto la settimana precedente, durata media dei crediti, consente di avere in mano buona parte dell’andamento finanziario della propria impresa.
Un peggioramento ripetuto di questi due indicatori nel tempo trasmette all’imprenditore consapevole un segnale sui primi sintomi della crisi dell’impresa.
A cura di Egidio Veronesi
Gli indicatori negli assetti organizzativi
L’imprenditore deve avere consapevolezza dell’andamento della propria impresa.
Come già scritto in passato, purtroppo, esistono ancora imprenditori che affermano: “io mi occupo di produrre e servire i clienti. Della contabilità non so niente e si occupa di tutto la mia impiegata.”
Se però la “classica impiegata” viene istruita a fornire dati all’imprenditore, questi avrà una serie di importanti informazioni per migliorare la propria attività.
Durata media dei crediti
Partiamo oggi a spiegare un semplice indicatore patrimoniale: la durata media dei crediti.
Molte situazioni di crisi aziendale si verificano per le difficoltà finanziarie che a volte sono imputabili a una cattiva gestione del credito.
Come possiamo controllare la corretta gestione in modo semplice e continuativo?
Vediamo un semplice esempio:
Nel bilancio dell’anno appena concluso (il 2023) si presentano questi dati:
- fatturato euro 1.200.000
- crediti commerciali euro 375.000
Supponiamo che l’intero fatturato sia soggetto a Iva al 22% e quindi nell’anno 2023 abbiamo emesso fatture per 1.200.000 + Iva al 22% = 264.000.
Fatturato Iva compresa euro 1.464.000 che coincide esattamente con i crediti verso clienti sorti nell’anno solare.
A questo punto sarà sufficiente dividere il totale dei crediti al 31/12/2023 (euro 375.000) per il totale del fatturato, Iva compresa, (euro 1.464.000) e moltiplicare il risultato ottenuto (0,2561) per i giorni dell’anno (365 giorni) e otteniamo il risultato finale arrotondato di 93 che rappresentano il tempo medio d’incasso, espresso in giorni, dei crediti verso clienti. Incassiamo quindi dai clienti in media in 93 giorni!
375.000 : 1.464.000 x 365 = 93
Il dato ottenuto non è preciso in senso assoluto. Per una maggiore correttezza occorrerebbe:
prendere il valore dei crediti di fine mese degli ultimi 12 mesi, sommarli e dividerli per 12 (per avere la media aritmetica). Già però utilizzando il valore di fine esercizio otteniamo un’ indicazione molto interessante.
Come usare la durata media dei crediti
Arrivati a questo punto la domanda è: una volta conosciuto questo dato della nostra impresa che utilizzo ne facciamo?
Proviamo a dare due suggerimenti:
- Per prima cosa calcoliamo il dato alla fine di ogni trimestre solare (ma se vogliamo anche ogni mese) utilizzando il valore dei crediti alla fine del periodo considerato (ad esempio il 31 marzo per il primo trimestre solare). Prendiamo anche il valore del fatturato (Iva compresa) degli ultimi 12 mesi (2°, 3° e 4° trimestre dell’anno precedente e il 1° trimestre dell’anno in corso). Se rileviamo la durata media dei crediti ogni trimestre e vediamo che aumenta (da 93 a 95 e poi 97 e poi 105 ecc.) capiamo che la nostra gestione del credito sta peggiorando e che occorre analizzare i singoli clienti e intervenire. Se il dato diminuisce significa che la gestione del credito migliora.
- Un’altra cosa che possiamo fare è prelevare dalla Camera di commercio i bilanci delle società nostre concorrenti, paragonabili in termini di fatturato, territorio, clientela ecc. (ogni buon imprenditore deve sapere chi sono i suoi concorrenti) e poi calcoliamo la loro durata media dei crediti e paragoniamola con quella della nostra azienda. È un dato molto semplice da rilevare dai bilanci in formato CEE. Dal confronto fatto possiamo capire se siamo allineati con i competitor e avere consapevolezza se siamo più o meno bravi di loro nel gestire il credito.
Se ad esempio la media di incasso dei nostri competitor è 95 giorni, possiamo fissare questa regola: appena la durata media di incasso supera 100 giorni si deve accendere il semaforo rosso!
Strumenti a disposizione dell'imprenditore
Ovviamente il monitorare l’andamento della durata media dei crediti è uno dei tanti strumenti a disposizione dell’imprenditore per prevenire la crisi della propria impresa. Non va trascurato il fatto che il credito più è vecchio più ha probabilità di deteriorarsi.
La prossima settimana vedremo altri indicatori che possono aiutarci a prevenire la crisi dell’impresa.
A cura di Egidio Veronesi
Decisione, pianificazione e controllo: le fasi e gli strumenti della pianificazione strategica
La pianificazione strategica è una parte fondamentale del processo decisionale per qualsiasi organizzazione. Questo processo aiuta a stabilire obiettivi a lungo termine e a creare una roadmap per raggiungerli in modo efficace ed efficiente. Le fasi e gli strumenti della pianificazione strategica svolgono un ruolo chiave in questo processo.
Le fasi della pianificazione strategica
1. Analisi dell’ambiente: la prima fase coinvolge la valutazione dell’ambiente circostante. Questo include l’analisi delle tendenze di mercato, la concorrenza, le opportunità e le minacce esterne. Gli strumenti comuni utilizzati in questa fase includono analisi PESTEL (Politica, Economia, Sociale, Tecnologia, Ambiente e Legale) e analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats).
2. Definizione della mission, vision e obiettivi: in questa fase, la società stabilisce la sua missione, la visione a lungo termine e gli obiettivi strategici. Questi elementi servono da quadro di riferimento per tutte le decisioni future.
3. Formulazione della strategia: qui, vengono sviluppate le strategie specifiche per raggiungere gli obiettivi definiti. Queste strategie sono create considerando fattori come i punti di forza e le opportunità dell’organizzazione.
4. Pianificazione operativa: questa fase coinvolge la definizione di piani operativi dettagliati che traducono le strategie in azioni concrete. Questi piani specificano i compiti, i tempi e le risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi strategici.
5. Attuazione della strategia: qui, la società mette in atto i piani operativi assegnando risorse e responsabilità. L’obiettivo è trasformare le strategie in azioni concrete.
6. Valutazione e controllo: la fase finale coinvolge il monitoraggio costante dei progressi verso gli obiettivi strategici. Gli strumenti di controllo, come il bilancio e gli indici chiave delle prestazioni (KPI), sono utilizzati per valutare il successo e apportare correzioni se necessario.
Alcuni strumenti di pianificazione strategica
1. Matrice SWOT: questa matrice aiuta a identificare i punti di forza, debolezza, opportunità e minacce dell’organizzazione, fornendo una panoramica completa della situazione.
2. Matrice BCG: la Boston Consulting Group Matrix è uno strumento che aiuta a classificare i prodotti o le divisioni dell’organizzazione in base alla loro quota di mercato e alla crescita. Questo aiuta a prendere decisioni sulla gestione delle risorse.
3. Pannello di controllo aziendale: un pannello di controllo visualizza i KPI chiave per monitorare le prestazioni e il progresso verso gli obiettivi strategici in modo chiaro e conciso.
4. Piano operativo annuale: questo documento dettaglia le azioni specifiche, i responsabili e le risorse necessarie per attuare la strategia.
Verso il raggiungimento di obiettivi
La pianificazione strategica è un processo in continua evoluzione che richiede adattabilità e revisioni costanti. Utilizzando le fasi e gli strumenti della pianificazione strategica in modo efficace, le organizzazioni possono migliorare la loro capacità di prendere decisioni informate, pianificare con successo e controllare il loro progresso verso il raggiungimento dei loro obiettivi a lungo termine.
Sei pronto? Prova a metterti in gioco a partire dalla prima fase della pianificazione strategica!
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Crisi aziendale: recuperare la marginalità
Cosa fare in caso di crisi aziendale?
Quando si manifestano i segnali di crisi aziendale occorre mettere subito mano ai propri “conti” e capire cosa si può o non si può fare per rimediare.
Va premesso che per capire se la propria impresa è in crisi occorre prima considerare che:
- deve essere presente un sistema di indicatori di “alert” come ad esempio: fatturato mensile, incassi da clienti, situazione bancaria, andamento dei pagamenti ecc. che ci permettono periodicamente di conoscere lo stato dell’azienda;
- il “buon imprenditore” deve leggere costantemente e attentamente l’andamento degli indicatori oltre a fare le opportune valutazioni.
Se mancano le premesse riportate qui sopra il “non buon imprenditore” si accorgerà comunque della situazione di crisi, ma molto in ritardo e quindi avrà un campo di azione più ristretto (e sicuramente responsabilità più alte).
Qualunque sia la situazione di crisi, grave o meno grave, per capire cosa fare occorre avere consapevolezza della ricchezza creata o distrutta dalla gestione dell’azienda.
Come capire se l'azienda va bene?
Per capire se l’azienda va bene o meno bisogna partire dal conto economico. Prendiamo un esempio di conto economico sintetico di un’azienda e proviamo ad esaminarlo
Il margine di contribuzione (MDC) è positivo per 135 mila euro. Quindi i costi variabili per produrre sono sensibilmente inferiori ai ricavi e abbiamo una discreta marginalità.
Tuttavia, sul conto economico gravano costi fissi (affitti, personale ecc.) e oneri finanziari per complessivi 275 mila euro per cui alla fine ho una perdita di 70 mila euro.
La gestione ha quindi bruciato ricchezza e creato maggiori debiti per 70 mila euro e la tesoreria aziendale ne risulterà appesantita per un pari importo. Soldi che mancheranno alla fine del mese per effettuare i pagamenti.
Come superare la crisi aziendale?
Il cattivo imprenditore, in difficoltà nel fare i pagamenti alla fine del mese, potrebbe mettere soldi propri (o andare in banca a chiedere nuova finanza) ma non risolverebbe la situazione, anzi.
A volte si usa la scusa che si pagano troppi interessi, ma vedendo i numeri (perdita di 70 mila euro contro interessi per 28 mila) il problema sicuramente non è solo quello.
Il buon imprenditore cercherà invece di capire come far diventare positivo il risultato finale del conto economico individuando una (o molto spesso) più soluzioni.
Dal semplice punto di vista matematico basterebbe aumentare le vendite a condizione che i costi fissi non aumentino. Per coprire costi fissi e interessi (in totale 233 mila euro) dovrei fatturare fino al raggiungimento del break even point (BEP), di cui ho trattato negli articoli precedenti.
A 830 mila euro circa si riuscirebbe a raggiungere il pareggio dei costi.
Se non è possibile aumentare il fatturato senza aumentare i costi fissi si dovrà intervenire su questi costi e ridurli in un qualche modo.
Gli esempi che ho fatto sono molto semplici ed elementari. Nella pratica occorre esaminare le singole voci di conto economico, capire se possono essere aumentati i ricavi, occorre valutare l’andamento del mercato anche in ottica futura e fare una serie di analisi ben più complesse.
Ma il risultato alla fine deve essere sempre lo stesso: la creazione di ricchezza.
Marginalità e ricchezza
Venendo ora alla situazione di crisi aziendale: nel caso sia già stato accumulato uno stock di debiti da affrontare, deve essere ben chiaro che senza marginalità e ricchezza non si va da nessuna parte, perché non si potrà sottrarre liquidità alla gestione corrente per pagare i debiti arretrati.
Se non ci sono prospettive di raddrizzare la situazione occorre passare al “piano B” ed entrare in una diversa ottica di cessione o affitto dell’azienda, aggregazione con altri soggetti per conseguire economie di scala oppure ricorrere alla liquidazione.
Se non ci sono prospettive di marginalità, conviene fermarsi. Meglio stare fermi anziché creare nuovo debito. Purtroppo, a volte l’imprenditore non riesce a fermarsi perché questo significherebbe interrompere il ciclo dei pagamenti e andare in default. Di conseguenza va avanti confidando nella buona sorte o nel recupero, che purtroppo non arriva quasi mai se non si fanno piani adeguati di recupero o ristrutturazione.
Di questo argomento parleremo nel prossimo articolo per poi tornare in seguito a parlare di come intervenire sul conto economico per recuperare la marginalità.
A cura di Egidio Veronesi
Cosa fare ai primi segnali di crisi dell'impresa
Nell’ articolo della scorsa settimana abbiamo elencato sommariamente alcuni sintomi di una latente o imminente crisi dell’impresa.
A tal proposito abbiamo visto, ad esempio, il caso in cui la liquidità sui conti correnti cala e vengono utilizzati per intero gli affidamenti bancari che a volte non sono sufficienti.
Quando manca la liquidità, e quindi si rimane senza soldi, diventa difficile gestire un’azienda.
Ho visto in alcuni casi l’ufficio amministrativo dedicare la maggior parte del proprio tempo a rispondere ai solleciti di fornitori e banche, a chiedere rinvii di pagamenti e a fare mille acrobazie per far quadrare i conti, mese dopo mese (e anno dopo anno). Per non parlare delle innumerevoli rateizzazioni con l’Agenzia delle Entrate.
Cosa fare in questi casi?
In questi casi di difficoltà occorre intervenire a meno che la situazione non sia già irrimediabile. Purtroppo, a volte, gli imprenditori non riescono neppure a fermarsi perché i debiti sono maggiori dei crediti e in questo caso “fermarsi” vorrebbe dire andare in default e spesso essere chiamati dalla banca a rifondere con il proprio patrimonio personale i finanziamenti garantiti.
Prima di andare oltre, ricordiamo che l’imprenditore è tenuto (in pratica obbligato) a tenere monitorata periodicamente la propria situazione aziendale.
I segnali della crisi aziendale
I segnali della crisi aziendale, previsti dal codice della crisi di impresa (Decreto legislativo n° 14 del febbraio 2019) sono:
- debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre il 50% dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
- debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- esposizioni nei confronti di banche scadute da oltre 60 giorni a condizione che rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
- una o più esposizioni debitorie nei confronti dell’INPS / INAIL / Agenzia delle Entrate.
Ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali di importo superiore al 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente e a € 15.000 per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati; a € 5.000 per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati.
Esistenza di debito scaduto da oltre 90 giorni e maggiore di € 5.000.
Riscossione: esistenza di cartelle esattoriali, scadute da oltre 90 giorni superiori a:
- € 100.000 per imprese individuali;
- € 200.000 per società di persone;
- € 500.000 per altre società.
Esistenza di debito IVA scaduto e non versato, risultante dalla LIPE, superiore a € 5.000 e comunque non inferiore al 10% del fatturato dell’anno precedente e in ogni caso qualora il debito Iva scaduto e non versato, risultante dalla comunicazione trimestrale (Lipe), sia superiore a € 20.000.
Sono tanti quindi gli elementi che segnalano la crisi dell’impresa e va tenuto presente che Agenzia delle Entrate, INPS e INAIL, qualora vengano superati i limiti di cui sopra, sono tenuti a fare la segnalazione all’OCRI (organismi istituiti presso le Camere di Commercio, che diventeranno operativi da inizio 2024).
Tale Organismo, una volta ricevuta la segnalazione, dovrà intervenire e chiedere all’imprenditore cosa sta succedendo e cosa intende fare, tenendo in considerazione poi tutta una serie di adempimenti previsti dalla legge.
Cosa fare quando si percepiscono segnali di crisi?
L’imprenditore, che ha sotto controllo i propri conti, nel momento in cui percepisce i segnali di crisi dovrebbe procedere in questo modo:
- Analisi del conto economico (costi e ricavi) per capire se l’impresa genera liquidità. La liquidità è generata ordinariamente (ma non solo) dalla marginalità. Se esiste marginalità si possono pagare i debiti. Se non c’è marginalità devono essere ricreate le condizioni aziendali per ripristinarla. Se anche questo non è possibile l’azienda deve chiudere (nei tanti modi possibili);
- Esame della situazione patrimoniale dell’azienda (crediti e debiti), con verifica di eventuali beni che si possono vendere, rateizzi di debiti ecc. Se ci sono le premesse di marginalità futura (flussi di cassa) in misura sufficiente a pagare i debiti si può andare avanti pagando tutti i creditori, oppure se la marginalità non è sufficiente a pagare tutti si dovrà perseguire una via di accordo o concordato con i creditori con transazioni e falcidia delle loro posizioni. L’ azienda potrà essere salvata. Se non c’è marginalità o non è possibile (perché mancano i numeri) o non si raggiunge l’accordo con i creditori, si dovrà procedere alla liquidazione (volontaria o giudiziale) dell’azienda.
A cura di Egidio Veronesi
Fasi di difficoltà delle imprese
La prima domanda che si pone un imprenditore (e che pone al suo commercialista) è la seguente:
la mia attività va bene o male?
La risposta non può essere una sola. L’azienda può andare bene o male a seconda di tanti fattori che devono essere attentamente valutati.
Spesso l’imprenditore ha una percezione molto limitata dell’andamento aziendale e il più delle volte le uniche cose che percepisce sono:
- La liquidità presente sui conti correnti: se la liquidità aumenta si percepisce che l’azienda va bene;
- La capacità di far fronte ai propri impegni: se vengono fatti i pagamenti in scadenza senza difficoltà e senza lasciare indietro tasse, contributi e fornitori, si percepisce che l’azienda non è indebitata e di conseguenza va bene;
- La liquidità sui conti correnti cala e vengono utilizzati per intero gli affidamenti bancari, che a volte non sono sufficienti. Di conseguenza si percepisce che l’azienda non va assolutamente bene.
Al di là di queste elementari percezioni, molti imprenditori non conoscono assolutamente la propria azienda. Inoltre, le percezioni possono essere non veritiere.
Il primo caso
Certamente una liquidità in costante aumento può essere sintomo di una buona gestione e di un’azienda sana. L’andamento della liquidità è infatti ritenuto da molti un indicatore sufficiente della performance aziendale.
Questo, tuttavia, non è sufficiente in quanto la liquidità non può essere l’unico indicatore dell’andamento aziendale. Occorre anche monitorare attentamente altre situazioni che sono, ad esempio l’andamento della marginalità aziendale che si ottiene sottraendo ai ricavi i costi di produzione (materie prime, lavorazioni, energia, personale ecc.).
Esempio: ricavi euro 50.000 – costi di produzione euro 37.500 = 12.500 euro (=margine lordo o margine di contribuzione).
Mettendo a rapporto tale margine con i ricavi si ottiene:
euro 12.500 : euro 50.000 x 100 = 25%
Ciò significa che il nostro margine di contribuzione è pari al 25% dei ricavi. Tale margine serve a coprire i costi fissi (affitti, costo impiegati, assicurazioni, consulenze ecc.). Da qui il termine “margine di contribuzione”.
Se l’imprenditore calcola questo indice periodicamente (ad esempio tutti i mesi) e lo tiene monitorato nel tempo avrà un elemento di valutazione della performance aziendale.
KPI
Quello che abbiamo calcolato viene comunemente definito in inglese KPI ovvero: “key performance indicator” che tradotto in italiano significa indicatore della performance.
Allo stesso modo l’imprenditore, magari con l’aiuto del proprio commercialista, potrà creare una serie di semplici indicatori da calcolare periodicamente e da tenere sotto controllo.
Ad esempio, l’andamento del fatturato mensile, l’andamento degli ordini in entrata, i tempi di evasione degli ordini ecc.
Questi indicatori se ben congegnati e seguiti nel tempo, possono rappresentare un vero e proprio cruscotto di controllo che rileva le performance aziendali.
Un valido strumento di controllo per controllare e prevenire
Un imprenditore che possiede un valido strumento di controllo costituito da alcuni indicatori aziendali, sia economici che patrimoniali, ma anche organizzativi o commerciali come ad esempio: n° di reclami dei clienti, clienti nuovi e clienti persi ecc., potrà accorgersi in tempo se le cose non vanno per il verso giusto.
Se sarà accorto e preciso nel rilevare gli indicatori e al tempo stesso pronto a reagire ai cambiamenti, difficilmente si troverà in una situazione di crisi irreversibile.
Nei prossimi articoli esamineremo quali sono i rimedi alla situazione di crisi e quali i provvedimenti più opportuni da prendere per non arrecare (o per limitare) danni ai propri creditori evitando, così, di mettere a rischio il proprio patrimonio personale.
A cura di Egidio Veronesi
Ditta, impresa, azienda. Chiamiamole nel modo corretto
Spesso gli imprenditori fanno confusione tra alcuni termini utilizzati per definire la propria “attività” o per descrivere la propria azienda. A volte dicono “la mia ditta” altre “la mia azienda”, altre volte ancora “la mia impresa” oppure “la mia attività”.
Mettiamo ordine andando per esclusione
Il primo termine, di cui parleremo in questo articolo, da non utilizzare è “la mia ditta”.
Il termine “ditta” ha un significato ben preciso, definito dalla legge e dalla dottrina aziendale e indica il nome attribuito alla propria impresa.
Ad esempio, l’insegna “Bar Sport di Luigi Rossetti” contiene (o rappresenta) la ditta con la quale il sig. Luigi Rossetti esercita la propria impresa di pubblico esercizio.
Semplificando: la “ditta” è il nome che contraddistingue la propria impresa da quella degli altri imprenditori.
Art. 2563 – L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo della ditta da lui prescelta.
La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore […].
Sulla “ditta” si ha il diritto di utilizzo con precedenza rispetto ad altri, dimostrandone l’utilizzo anteriore. La ditta viene tutelata dalla legge in quanto elemento distintivo dell’impresa.
Se ad esempio il sig. Luigi Rossetti, titolare del “Bar Sport”, ormai conosciuto nel quartiere e nei quartieri vicini per la qualità del servizio, vede aprire un altro bar di fronte al suo con lo stesso nome, o molto simile, ad esempio “Bar Sport di Giorgio Bianchi” o anche solo “Bar Sport”, può giustamente risentirsi perché il nuovo arrivato potrebbe distogliergli parte della clientela che arrivata nei paraggi del suo esercizio potrebbe fare confusione e andare nel bar del suo concorrente.
La tutela della “ditta” è prevista dal successivo articolo del Codice civile:
Art. 2564 – Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla.
Risulta evidente che il diritto all’uso della propria ditta, cioè il nome che distingue l’impresa, non può essere esteso oltre un certo raggio d’azione che dipende dal tipo di attività svolta. Nel caso di un bar potrà essere considerata ragionevole una distanza di un chilometro ma anche di poche centinaia di metri (dipende dalla tipologia di nucleo abitato). Per una impresa che vende “on line” su tutto il territorio nazionale, invece, il diritto all’uso della propria “ditta” in esclusiva varrà per tutto il territorio nazionale.
In quanto segno “distintivo” dell’impresa, la ditta può essere trasferita con l’azienda (in caso di vendita o affitto).
Art. 2565 – La ditta non può essere trasferita separatamente dall’azienda. Nel trasferimento dell’azienda per atto tra vivi la ditta non passa all’acquirente senza il consenso dell’alienante.
Concludiamo con alcune considerazioni
Dopo questo approfondimento sul termine “ditta” concludiamo con alcune considerazioni:
- La “ditta” è un nome che distingue l’impresa. Se l’impresa è esercitata da una persona fisica (si parla in questo caso di impresa individuale) dovrebbe contenerne almeno il cognome o una sigla. La sigla potrebbe essere ad esempio uno pseudonimo o un soprannome. Anche una società può avere una propria ditta che la contraddistingue e in tal caso non c’è obbligo di indicare cognome o sigla. Ad esempio, la società Alfa S.r.l. può gestire una pizzeria utilizzando la ditta “Nuova Napoli da Gigi” di cui avrà il diritto di uso esclusivo sul proprio territorio;
- La ditta non va confusa con l’insegna che è un’altra caratteristica che contraddistingue un’impresa ed è data “dall’insieme di scritte e immagini che compaiono all’ingresso degli esercizi commerciali aperti al pubblico”. Un’azienda che commercia esclusivamente on line non avrà quindi un’insegna. L’insegna contraddistingue, infatti, un luogo fisico aperto al pubblico;
- La ditta non va confusa con il marchio, che è un insieme di elementi (anche grafici) che contraddistingue un’azienda e i suoi prodotti;
- La ditta non va confusa con il logo che può ridursi a un simbolo grafico che richiama il nome e i prodotti dell’azienda. Tipico esempio la mela di Apple. Il marchio può comprendere anche il logo.
In conclusione di quanto detto fino ad ora, sbaglia dunque quell’imprenditore che afferma “la mia ditta produce il tal prodotto.”
Terminato con questo breve approfondimento, nei prossimi articoli cercheremo di approfondire gli altri termini che identificano e contraddistinguono l’attività dell’imprenditore, cioè azienda e impresa.