Nei primi anni della mia professione, facevo il praticantato presso un commercialista ‘più anziano’, che, nel momento in cui emetteva le fatture, era solito dirmi: “Per il cliente, il compenso del commercialista deve venire fuori dal risparmio di imposte che gli farai avere”.
È ancora vera e condivisibile questa affermazione, legata alla funzione del consulente come tecnico del fisco?
Per molti, purtroppo, è ancora valida. Tuttavia, nel tempo, il commercialista ha assunto un ruolo ben più ampio e complesso. Non è più solo il professionista che “fa pagare meno tasse”, ma è diventato, spesso suo malgrado, un vero e proprio “parafulmine” per tutti i rischi legati alla mancata osservanza della normativa fiscale, tributaria e societaria. Le leggi che riguardano le imprese sono moltissime, complesse e in continua evoluzione e il commercialista si trova frequentemente a gestirne gli impatti pratici e operativi.
Fortunatamente, sempre più imprenditori iniziano a considerare il commercialista non solo come un tecnico delle imposte o un “parafulmine”, ma come un partner strategico per la gestione della propria azienda. Una figura che, oltre alla dichiarazione dei redditi e al calcolo delle imposte, li accompagna in decisioni cruciali per l’evoluzione della propria attività: dalla valutazione della gestione corrente, alle analisi per nuovi investimenti, opportunità di business e di acquisizioni fino all’ accesso a strumenti di finanza agevolata.
Come riportato in precedenti articoli, il risparmio fiscale è importante, ma ancor più importante è la consapevolezza dell’andamento della propria impresa e dello sviluppo del proprio business, nonché la comprensione del contesto economico in cui si opera.
Ossessione per il Risparmio fiscale
Il pensiero dominante in molti imprenditori è ancora tuttavia legato al risparmio fiscale. Capita così che, dopo aver discusso del bilancio e delle imposte da pagare, anche se l’azienda ha generato ottimi utili, l’umore cambia. L’imprenditore esce dallo studio deluso, preoccupato, con l’aria triste e abbattuta. Non importa se gli utili sono stati alti (e così di conseguenza le imposte): novanta volte su cento, appena rientrato in azienda, finisce per cercare in rete frasi come “risparmio fiscale” o “come risparmiare le tasse” o ancora meglio “come non pagare le tasse”.
Paradossalmente, quando l’azienda fa pochi utili (o addirittura è in perdita) e non ci sono tasse da pagare, la soddisfazione è maggiore, il cliente esce dallo studio felice e di certo non si preoccuperà di digitare su Google “come migliorare la propria impresa” o “come fare nuovo business”.
Stress da pagamento estivo delle tasse
Il pagamento delle imposte, soprattutto d’estate, è uno dei momenti più “dolorosi” dell’anno. Quando gli affari vanno bene, le imposte possono essere anche molto elevate. A questo si aggiunge l’effetto degli acconti: dovendo pagare le tasse in anticipo sullo stesso reddito dell’anno precedente, soprattutto in caso di aumento considerevole del reddito da un anno all’altro, l’imprenditore si ritrova a dover versare sia un saldo di imposta rilevante sia un acconto molto elevato, proprio nei mesi di giugno e luglio, poco prima delle ferie. Il risultato? Una sensazione di pressione e frustrazione incessante.
A tal proposito, spesso racconto in tono ironico, la storiella di quel cliente che sta per partire per le vacanze al mare e dopo aver caricato la famiglia, le valigie e il canotto sul portapacchi dell’auto, sente squillare il telefono. Rientra in casa per rispondere e dopo pochi minuti torna verso l’auto e dice: “Era il commercialista. Mi ha appena detto quante tasse devo pagare. Scendete tutti, non abbiamo più i soldi per la vacanza…”
Soluzioni per evitare il salasso estivo delle imposte
Proprio per evitare questi salassi fiscali estivi, si propone ai clienti di trasformare l’impresa in una Srl con l’attribuzione di un compenso mensile all’imprenditore/amministratore, così da fargli pagare tasse e contributi ogni mese, evitando picchi estivi troppo pesanti.
A ciò spesso si affiancano strumenti come rimborsi chilometrici, trasferte esenti, welfare aziendale o una suddivisione del reddito con altri membri della famiglia. Sono tutte soluzioni che, se ben applicate, possono generare risparmi anche significativi, sebbene mai eccessivi.
Attenzione ai falsi esperti del web
Il problema è che gli strumenti, di cui abbiamo appena parlato, spesso non vengono comunicati abbastanza ai clienti. Di conseguenza, molti finiscono per affidarsi agli “esperti del web”. Ho visto pianificazioni fiscali proposte da tali esperti che dimezzano il carico fiscale: in realtà molte di queste pianificazioni sono furbesche e poco trasparenti perché non tengono conto delle dinamiche fiscali. La tassazione sulle persone fisiche, ad esempio, non raggiunge quasi mai il 60% come si legge online. In dichiarazione dei redditi, infatti, spesso abbiamo detrazioni di imposta, oneri deducibili, deduzioni per bonus e superbonus, per cui il 60% diventa a consuntivo circa un 30%.
Molti di questi esperti che si trovano in rete sono in realtà più abili nel marketing e nel catturare i clienti che nella pianificazione fiscale e sfruttano proprio la mancanza di comunicazione tra cliente e commercialista. A volte, il commercialista applica già strumenti di pianificazione fiscale ma non li spiega chiaramente al cliente, che quindi non li percepisce come un reale vantaggio.
Il primo suggerimento utile per un reale ed effettivo risparmio fiscale è, dunque, di non affidarsi al primo esperto di turno che si trova in rete, ma di confrontarsi con il proprio commercialista che ben conosce la propria realtà, chiedendogli di valutare gli strumenti di pianificazione fiscale più opportuni.
Esempio pratico
Per chiudere con un esempio concreto, uno degli ultimi quesiti che ci è arrivato via email, è stato quello di un idraulico che ci ha scritto: “Chiedo conferma di quanto mi ha suggerito l’esperto: mi ha consigliato di far registrare il marchio aziendale (che coincide con il mio nome e cognome) a nome di mia moglie, la quale poi me lo da in concessione.”
Lascio a chi legge il commento sul valore che può avere un tale marchio e sulla deducibilità del canone di concessione. Magari per mille euro di deduzione all’anno, tra costi per la perizia sul marchio, costi per la registrazione e costi per il contratto di concessione forse ci vorranno 10 anni per recuperare la spesa inziale.
A cura di Egidio Veronesi
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